Infanzia di Ivan (L') - Ivanovo Detstvo
Regia: | Andrej Tarkovskij |
Vietato: | No |
Video: | General Video, San Paolo Audiovisivi |
DVD: | General video |
Genere: | Guerra |
Tipologia: | La guerra, Storia del cinema |
Eta' consigliata: | Scuole medie inferiori; Scuole medie superiori |
Soggetto: | Vladimir Bogomolov |
Sceneggiatura: | Vladimir Bogomolov, Mikhail Papava |
Fotografia: | Vadim Jusov |
Musiche: | Viaceslav Ovcinnikov |
Montaggio: | Ljudmila Fejginova |
Scenografia: | Evgenij Cernjaev |
Costumi: | A. Martinson |
Effetti: | V. Sevostjanov |
Interpreti: | |
Produzione: | Nikolaj Burljaev Ivan, Valentin Zubkov Cap. Cholin, Evgenij Zarikov Ten. Gal'cev, Nikolaj Grinko Tenente Colonnello Grjaznov, Irma Tarkovskaja Madre di Ivan, Valentina Maljavina Masa, Stepan Krylov Katosonic, Dmitrij Miljutenko Vecchio col gallo, Andrej Konchalovskij Il soldato con gli occhiali |
Distribuzione: | Cineteca dell’Aquila - Collettivo dell’Immagine |
Origine: | Urss |
Anno: | 1962 |
Durata:
| 91'
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Trama:
| Quattro sogni, brevi e intensi, punteggiano la narrazione di una realtà di guerra. Da un lato la vitalità, l'acqua fresca, la campagna, i boschi, la madre, gli amichetti; dall'altra la palude immobile, i soldati, i bombardamenti, le imboscate. Il protagonista è sempre Ivan, il ragazzo che ha perso la famiglia e gli affetti più cari e che ora aiuta i compagni russi al fronte. Egli sa muoversi all'interno della palude meglio di qualsiasi altro soldato: proprio per questo il capitano Cholin gli ha affidato il rischioso ruolo di esploratore. La deviazione durante una missione solitaria porta però Ivan nel reparto del tenente Gal'cev. I sospetti di quest'ultimo, che, non conoscendo il ragazzo, lo crede una spia nemica, vengono fugati dal tenente colonnello Grjaznov. Ed è lo stesso Grjaznov che, comprendendo che la guerra non è l'ambiente adatto per un ragazzo, vuole spedire Ivan alla scuola di addestramento. Il protagonista tenta la fuga, ma viene ben presto ripreso e allontanato. In sua assenza, la vita al campo prosegue: Cholin corteggia la bella infermiere-capo Masha e prepara una nuova operazione. Bisogna recuperare il cadavere di due soldati russi esposti provocatoriamente dai tedeschi sulla riva opposta. Ivan viene coinvolto un'ultima volta, assieme a Cholin e Gal'cev. Giunto nel mezzo della palude, il ragazzo si separa dai due compagni e prosegue da solo. Cade la prima neve. Terminata la guerra, tra festeggiamenti e orrori (un cineoperatore riprende i corpi di Goebbels e dei suoi familiari), Gal'cev scopre un dossier che certifica l'uccisione del piccolo Ivan.
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Critica 1: | Solo al mondo (i tedeschi gli hanno sterminato la famiglia), il dodicenne Ivan fa la staffetta e l'esploratore per i partigiani russi, lacerato tra l'odio per il nemico e il bisogno di tenerezza e protezione. La guerra ingoia anche lui. Questo lirico e tragico racconto sull'infanzia rapinata dalla guerra fu l'esordio di A. Tarkovskij, in cui già affiora il tema della storia come irrazionalità. Accusato, non senza ragione, di formalismo e morbido poeticismo, trovò un appassionato difensore in Jean-Paul Sartre che seppe leggervi gli elementi di novità e una straordinaria personalità d'autore. Leone d'oro a Venezia ex aequo con Cronaca familiare di Valerio Zurlini. |
Autore critica: | |
Fonte critica | Il Morandini – Dizionario dei film, Zanichelli |
Data critica:
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Critica 2: | Nei resoconti degli invitati alla Mostra di Venezia del '62 furono avanzate non poche riserve, mosse in buona parte dalla critica italiana di sinistra, nei confronti dell'esordio di Tarkovskij. Riserve che, non di molto mitigate nemmeno quando il film nella primavera successiva fu distribuito sul mercato nazionale, si appuntavano soprattutto sul linguaggio definito calligrafico ed in alcuni casi eccessivo, sulla veste formale ritenuta elaborata ed ingegnosa, e provocarono una lunga lettera di Jean-Paul Sartre a “l'Unità”: vi si richiamava l'attenzione sul significato antieroico della pellicola, sulla lucidità del suo tema, sul suo rigore narrativo e sulla validità di una scelta linguistica conseguente, legata a un nuovo modo di proporre una vicenda bellica, di cui si ripudiavano tutti i possibili risvolti eroici. Di fatto, L'infanzia di Ivan spezza i legami con la concezione melodrammatica e letteraria ottocentesca, con i buoni ed alti sentimenti (patria, famiglia, solidarietà), sfruttati dal cinema sovietico in una vasta gamma di modulazioni, non ultima quella elegiaca, tipica delle pellicole portate a termine in quegli anni da alcuni registi. Nella rinuncia all'oratoria, alla propaganda, alla didattica, agli accenti osannanti della celebrazione, Tarkovskij - adottando uno spoglio bianco e nero - riscopre quel cinema intellettuale proprio dell'aurea stagione della cinematografia sovietica: sospeso in un tempo che non è quello della realtà oggettiva, ma sorretto da una scansione che è quella della realtà psicologica, il film è tramato da una tensione espressiva in cui dettagli e presenze riassumono il loro tipico valore di suggerimento, di anticipazione, di disvelamento proprio di un cinema di idee come quello degli Anni Venti, che non poté portare a termine le sue ricerche perché costretto a soccombere alle coercizioni di un sistema dogmatico e autoritario. Tarkovskij non ripropone quelle lontane esperienze in una esercitazione meramente stilistica, ma se ne appropria con un linguaggio variegato, composito, emozionante (che si stacchi, cioè, dalla consueta, raggelata, composta, anonima “routine"); non sviluppa l'intreccio ed abbandona i personaggi per poi, magari, riprenderli, spaziando da un evento all'altro con una significativa preferenza per l'ellissi, per i passaggi repentini e folgoranti nella loro efficacia sintetica.
Lo stile di Tarkovskij è vivace, vigoroso, ha “capacità di inventiva visuale, per il senso del contrappunto narrativo, per l'audacia formale”. Nel medesimo tempo è radicato nella tradizione della cinematografia sovietica muta: ricorre a squarci di visione soggettiva o a brani di una evocazione fantastica ed onirica che rinviano al cinema di Aleksandr P. Dovzenko e di altri autori ucraini degli Anni Venti. Sempre al cinema muto rimanda l'intera compagine del film dispiegata nella ricerca di un ritmo musicale che si fonda su un alternarsi di capitoli, di sequenze, di tensione e di calma, sulla presenza di un commento sonoro affatto lirico e sulla preferenza per immagini ottenute piazzando la camera in posizioni inattese o per inquadrature di notevole profondità, i cui vari piani sono segnati dalla presenza di diversi personaggi, uno dei quali, solitamente, posto in primo piano.
“Per noi la guerra è stata un dramma le cui conseguenze si avvertono ancora in tutta la vita del nostro popolo. Io stesso ho fra i miei amici tanti giovani che hanno vissuto quelle esperienze sconvolgenti che hanno segnato la loro personalità fin nel profondo. Del resto tanti problemi della vita di oggi trovano una spiegazione proprio in quello che accadde in quegli anni terribili”. Nelle parole di Tarkovskij è implicita una considerazione tutta particolare della guerra che mobilitò l'intera nazione: la guerra è da lui volutamente vista anche come una calamità fuori dal tempo, come una spada di Damocle perennemente sospesa sul capo dell'umanità. Egli ha situato la vicenda ed i personaggi in un conflitto determinato ma ha rivolto l'interesse al suo orrore, alle sue potenzialità distruttive capaci di pervertire ogni anelito vitale, non indugiando sul contrasto tra la follia omicida e la scelta ragionata di inevitabili sacrifici, pur di scongiurare una catastrofe totale. Ma le affermazioni di Tarkovskij coinvolgono realtà che stanno oltre il conflitto e che lasciano forse affiorare le intime volute di un pensiero soffermatosi a meditare sulla natura di una ideologia che proclamava l'internazionalismo, ma che forse non aveva operato nei tempi debiti in questo spirito, rendendo ineluttabili quelle manifestazioni ferine cui si dà il nome di scontro armato.
Sembra che nella mente di Tarkovskij si agiti la supposizione che anche quella guerra, che richiese un così alto contributo di vite umane e che venne definita patriottica, non fosse, nonostante tutto, una guerra “buona". La guerra è sempre e comunque bestiale e iniqua, mai esaltante. Non si giustifica allora la glorificazione del soldato sovietico e dei suoi comandanti imposta da una vaniloquente visione delle cose e sviluppata in genere dal cinema sovietico; non si scagiona chi fece accettare a tutto un popolo una guerra come patriottica, non tanto forse perché avrebbe potuto evitarla, quanto perché, attraverso questa versione, era riuscito a far stringere intorno al mito nazionale un popolo martoriato ed esaltato dalla sua pratica di governo. Ecco perché, nonostante le debolezze, i manierismi, lo scadere talvolta nel gratuito e nell'artificioso, nonostante la dispersione (momentanea) della sostanza umana e ideologica in un barocchismo talora frenetico, nonostante la ricerca della bella immagine fine a se stessa e il compiacimento per i virtuosistici giuochi dell'illuminazione, L'infanzia di Ivan occupa un posto rilevante nel “cinema del disgelo". Sommessamente, senza bandire crociate, Andrej Tarkovskij invita lo spettatore a concentrarsi su un evento decisivo nella storia dell'Unione Sovietica, evento che provocò una crisi acuta nella forma statale, intesa come concezione di vita, come modo di affrontare la realtà, l'uomo, le sue aspirazioni. La vittoria non ha introdotto nuova linfa in quel modo di reggere la società, trinceratosi dietro il monolitismo e i trionfalismi: intendere correttamente l'esperienza della Guerra Patriottica equivale a liquidare il problema di un regime che ha segnato per lunghi anni la vita di un popolo, a svolgere una serrata disamina dei fatti, una volta prese le mosse dal dubbio che forse la guerra (o, meglio, l'incapacità di scongiurarla) sia stata un demerito di chi allora guidava le sorti della nazione. |
Autore critica: | Achille Frezzato |
Fonte critica: | Andrej Tarkovskij, Il Castoro Cinema |
Data critica:
| 12/1977
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Critica 3: | Il film racconta la storia di un ragazzino la cui normale esistenza è stata tragicamente interrotta dalla guerra. Il ragazzo, ormai troppo cresciuto per andare a scuola con i suoi coetanei, si comporta come gli adulti ai quali, per seguire la sua disperata voglia di vendetta, si è volontariamente affidato. Della guerra, tuttavia, ha luogo una rappresentazione in cui viene omessa la parte “guerreggiata”: sono praticamente assenti, infatti, eventi consueti nel cinema bellico quali le esplosioni, le sparatorie, i corpo a corpo, le battaglie. Assente è anche qualsivoglia esaltazione di quei valori che normalmente si attribuiscono ai combattenti per connotare la loro azione di una valenza positiva. Si tratta di valori quali la dedizione, la generosità d’animo, l’eroismo insito nel combattere per una giusta causa. Anzi, il perseguimento di tali valori viene esplicitamente considerato come uno dei principali responsabili di un’esistenza terribilmente dura, completamente diversa da quella che Ivan avrebbe potuto avere (emblematico il rifiuto opposto da Ivan alla proposta del capitano Cholin e del colonnello Grjaznov di mandarlo alla scuola militare).
Nella guerra, in definitiva, si registra l’assenza di tutto ciò che risulta essere umano e vitale: nel film uno dei soldati amici di Ivan dice che la guerra è del tutto simile al silenzio, è l’interruzione di qualsiasi comunicazione. Evidente è il messaggio pacifista che ne scaturisce: da qui derivano le accuse di disfattismo che le autorità sovietiche rivolsero al film all’epoca della sua uscita. Il film esprime dunque una riflessione sulla condizione bellica e, più in generale, su quella umana. La sua struttura narrativa è tutta incentrata sul contrasto tra l’atmosfera di morte che ovunque caratterizza l’ambiente reale in cui si muove il protagonista (gli alberi scheletrici, i cieli neri come la pece, le figure infernali ricoperte di fango) e la luce abbacinante che accompagna le scene di un mondo contadino perduto e sognato, rappresentato come una sorta di paradiso terrestre. Da una parte la guerra, il dolore, la solitudine; dall’altra la madre, i giochi, la serenità.
Sebbene collocato in un preciso contesto storico (l’invasione nazista dell’Unione Sovietica), il film attribuisce all’immaginazione una funzione decisiva. Le immagini oniriche, significativamente, aprono e chiudono il film, oltre a costituire un puntuale contrappunto alle durissime scene di vita che costituiscono il tessuto del racconto, rispetto alle quali assumono l’evidente significato di una fuga dal reale. Si tratta, in particolare, dei sogni di Ivan sulla vita in compagnia della madre durante le giornate radiose; oppure delle mele offerte a una coetanea, in un quadro simbolico che fa riferimento al desiderio di conoscenza e di normale libertà dell’esperienza. A scatenare l’immaginazione del ragazzo sono i piccoli particolari della realtà, apparentemente i meno significativi, come una goccia d’acqua che cade all’infinito in un catino. Alla sfera dei sogni appartiene anche l’epilogo del film, quando il tenente Galcev, di fronte alla scoperta dell’impiccagione di Ivan, immagina il suo piccolo amico bere da un secchio mentre la madre lo osserva amorevolmente, lo vede giocare con i suoi coetanei, quindi correre con una fanciulla ed entrare nelle acque pacifiche di un fiume. I sogni di Ivan rivivono come per magia nella sua mente. |
Autore critica: | Umberto Mosca |
Fonte critica: | Aiace Torino |
Data critica:
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Libro da cui e' stato tratto il film |
Titolo libro: | Ivan (Racconto) |
Autore libro: | Bogolomov Vladimir |
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