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Cobra verde - Cobra Verde

Regia:Werner Herzog
Vietato:No
Video:Deltavideo
DVD:
Genere:Avventura
Tipologia:Letterature altre
Eta' consigliata:Scuole medie superiori
Soggetto:Tratto dal romanzo "Il Vicere' di Ouidah" di Bruce Chatwyn
Sceneggiatura:Werner Herzog
Fotografia:Viktor Ruzicka
Musiche:Popol Vuh
Montaggio:Maximiliane Mainka
Scenografia:Ulrich Bergfelder
Costumi:
Effetti:
Interpreti:Klaus Kinski (Manoel Da Silva "Cobra Verde"), King Ampaw (Taparica), Jose' Lewgoy (Don Octavio Coutinho), Salvatore Basile (Capitan Fraternitade)
Produzione:Werner Herzog Film Produktion
Distribuzione:Non reperibile in pellicola
Origine:Germania
Anno:1987
Durata:

110'

Trama:

Nel 1800 il bandito Manoel, chiamato Cobra Verde, molto temuto nei villaggi messicani, viene assunto in Brasile dal colonnello Octavio Coutinho, che lo mette a dirigere, nelle sue piantagioni, la lavorazione della canna da zucchero, della quale possiede la più grande produzione di tutto il paese. Poichè Manoel è intelligente e capace di farsi ubbidire dagli schiavi, il colonnello lo prende a ben volere e lo ospita in casa sua, ma egli gli seduce tutte e tre le figlie, che restano incinte. Coutinho, furibondo, cerca la maniera di vendicarsi, giacchè non sono possibili le nozze riparatrici e decide di mandare Manoel in Africa per riattivare la tratta degli schiavi, cessata da parecchi anni, per la follia del re Leopardo. E' un modo sicuro di far uccidere il colpevole, fidando nell'odio del re per tutti gli stranieri. Manoel giunge dunque da solo in Africa, a Elmine, e viene accolto bene dalla popolazione; sembra che il commercio degli schiavi riprenda regolarmente, ma improvvisamente il folle re Leopardo condanna ingiustamente Manoel a morte. Mentre questi attende l'esecuzione, il nipote del monarca (unico legittimo pretendente al trono), a causa della pazzia dello zio si mette a capo di una insurrezione per impadronirsi della corona e libera il prigioniero, a patto che egli accetti di addestrare un esercito di amazzoni per mandarle a combattere contro il re. Manoel acconsente, ma chiede in cambio nuovi schiavi. Le coraggiose guerriere attaccano il villaggio e Leopardo si ritira sconfitto. Il commercio degli schiavi riprende, ma improvvisamente il colonnello Coutinho e i suoi soci non spediscono più dal Brasile le armi promesse come merce di scambio. Cobra Verde, che era stato nominato vicerè e viveva in una antica fortezza restaurata per lui dalla popolazione, vede il suo successo annullato in un baleno: tutto ciò che aveva conquistato gli viene tolto. E' disperato, sente pesare su di sé la maledizione dello sporco commercio svolto, e tenta invano di fuggire dal paese, ma è di nuovo solo e i suoi sforzi sono vani.


Critica 1:Manoel Garcia Da Silva commette un delitto e scappa. Fa il sorvegliante di schiavi a Salvador de Bahia, organizza in Africa il traffico dei medesimi. Imprigionato e torturato, diventa viceré di un regno africano grazie a un colpo di Stato. Trionfo di breve durata. Da un romanzo di Bruce Chatwin. Raccontato con l'andamento di un delirio onirico di cui ha il ritmo ora sincopato ora estatico, l'atmosfera allucinatoria, l'esplosione di immagini, la mancanza di raccordi esplicativi. Forse il film più spettacolare di W. Herzog con un'ombra di accademismo. K. Kinski titanico istrione.
Autore critica:
Fonte criticaIl Morandini – Dizionario dei film, Zanichelli
Data critica:



Critica 2:Cobra Verde inizia e finisce alla grande, come un classico herzoghiano. La presenza del cantastorie cieco nella sequenza d'apertura non può non ricondurre al tono più tipico dei film del regista tedesco, quello della ballata. E la grande scena finale entra di diritto nell'antologia herzoghiana di eroi puniti per la loro «ubris» (tanto più per la presenza della Maschera Herzoghiana per eccellenza, Klaus Kinski).
Quello che ci sta in mezzo... Beh, quello che ci sta in mezzo sembra più spiegabile con la storia della produzione del film che con un discorso sul linguaggio e sulle intenzioni. Poiché ci rifiutiamo di credere, in buona fede e per stima dell'autore, che il confuso guazzabuglio che dovrebbe essere Cobra Verde sia da considerare un'opera compiuta e pienamente ascrivibile a Werner Herzog. Herzog stesso ha ripetuto in più di un'occasione pubblica che il film è stato profondamente influenzato da Klaus Kinski: nel senso che l'attore «ist wahnsinnig» («è matto») e che, in preda a un delirio di potenza, pretendeva lui di controllare il set. Non possiamo testimoniare in prima persona che ci sia riuscito, ma certo dal risultato estetico e dal disastro commerciale che Cobra Verde si avvia ad essere, si può facilmente argomentare che perlomeno Herzog e Kinski si siano neutralizzati e che alla fine della battaglia non ci siano vincitori né sconfitti, se non il film stesso e quello che avrebbe potuto essere.
E infatti l'unico esercizio critico possibile è da praticare proprio su questo, su ciò che Cobra Verde avrebbe potuto essere, su quell'idea che ogni tanto sembra possibile cogliere tra un primo piano di Klaus Kinski e l'altro. Perché se questo fosse il vero ultimo film di Werner Herzog (il regista ha più volte affermato che non farà film per almeno cinque anni, ma forse mai più), sarebbe un ben misero e malinconico testamento.
Il primo elemento che balza agli occhi in questa esegesi desiderata è che Herzog intendeva in realtà privilegiare il punto di vista dei neri a scapito della più classica parabola della nascita-ascesa-caduta-morte di un avventuriero nella linea genealogica degli Aguirre e dei Fitzcarraldo. E un motivo appena accennato nella parte brasiliana del film, ma quasi inevitabile nella parte africana. Non si tratta tanto di un discorso sulla schiavitù, ma sulla differenza razziale, sulla coscienza nera dell'uomo. È evidente che le due metà del film sono deliberatamente parallele e che la carriera di Francisco Manoel di qua e di là dall'Atlantico è singolarmente simile. In Brasile egli passa da «desperado» a sorvegliante di schiavi a ufficiale del re del Portogallo. Nella seconda comincia come avventuriero senza speranze e poi diventa florido mercante, fratello del re del Dahomey (salvo poi rischiare di lasciarci le penne), comandante dell'armata ribelle. In entrambe le situazioni si trova coinvolto in intrighi che passano sopra la sua testa. Prima si ritrova ad essere un ingranaggio nei maneggi dei piantatori a causa del suo successo erotico con le figlie di don Coutinho (…);
poi diventa lo strumento della nemesi del re del Dahomey quando, a capo di un improbabile esercito di amazzoni, lo sconfigge a favore del cugino. Nell'un caso e nell'altro, comunque, l'essenza della sua attività resta la tratta degli schiavi, un commercio che viene esercitato dagli stessi fratelli di razza africani senza soverchi problemi. Ma questo Cobra Verde servitore di due padroni è testimone di due modi ben diversi di intendere la schiavitù, che hanno peraltro in comune il totale disprezzo della vita individuale. I coloni brasiliani razionalizzano la schiavitù in quanto sfruttamento di forza lavoro, quale variabile economica al ribasso nel complesso del sistema coloniale. Il re del Dahomey non la «usa» in senso proprio se non per soddisfare i capricci della sua follia. Se l'impiego di schiavi nelle piantagioni ha una qualche parvenza di giustificazione nell'interesse economico, il re del Dahomey va dritto alla radice del rapporto servo-padrone, legittimando il totale e assoluto dominio del secondo sul primo. Fuori da ogni ideologia e ogni sovrastruttura egli applica una «pura legge naturale»: ed è questo un tipico motivo d'indagine del cinema di Herzog (la follia omicida e suicida, il lato nero della diversità). Avrebbe potuto essere l'inizio di un discorso interessante, fuori dai luoghi comuni, sacrosanti ma noiosi, dell'inumanità della schiavitù. Anche nella scelta di re Ampaw, un vero monarca nero, per la parte del re del Dahomey sembra di poter riconoscere la tipica scommessa herzoghiana del mescolamento tra realtà e finzione. Una scommessa che ha di volta in volta coinvolto attori in stato di ipnosi (Cuore di vetro), freaks (Anche i nani cominciano da piccoli), pazienti di ospedali psichiatrici (il Bruno S. di La ballata di Stroszek e Kaspar Hauser). Ma quello che, nel campo etnologico, gli era riuscito alla perfezione con gli aborigeni, di Dove sognano le formiche verdi fallisce miseramente in Cobra Verde, dove l'elemento locale non si amalgama mai con la struttura del film.
Questo vale anche per un altro motivo interessante, ma abortito nel suo sviluppo: la presenza femminile. Ci deve essere una ragione per cui Francisco Manoel si ritrova a capo di un esercito di donne e non di uomini. (…) È come se il regista non fosse riuscito a trovare la chiave adatta per trasformare i simboli in realismo e viceversa. (…)
Poi, ogni tanto, Herzog sembra ritrovare la mano felice. Il finale ha una forza immensa e varrebbe da solo il prezzo del biglietto. Solo lui, infatti, potrebbe pensare di mettere in scena uno scherzo di natura come quello che vediamo sullo schermo traendone della grandissima poesia. Ci immaginiamo che questa splendida sequenza, per la sua crudezza e particolarità, non possa essere stata immaginata in fase di sceneggiatura, ma pensata e articolata sul posto, dopo l'incontro con l'attore storpio. Il che conferma che il «metodo Herzog» è una vera scommessa, capace di riservare ineffabili sorprese e altrettanto ineffabili mediocrità.
Un'altra faccenda ambigua è la vera identità di Francisco Manoel. Chi è Cobra Verde? È ovvio
che si imparenta agli altri grandi visionari kinskiani, come già detto, ma sembra mancare di un tratto fondamentale di quei personaggi indimenticabili: gli manca un sogno. Cobra Verde non ambisce mai a essere padrone di nulla, è al massimo un mercenario che fa del proprio cinismo un valore e una religione. Ma tutto si ferma lì. Forse Herzog intendeva scavare in questa direzione. Lo indicherebbe, ad esempio, la lunga, vuota sequenza della visita alla fortezza abbandonata, dove par di capire che il delirio dell'avventuriero portoghese viene proiettato su uno sfondo di non-esistenza, di assoluta assenza. Unico bianco, senza una guarnigione, senza nemmeno autorità, Francisco Manoel viene tollerato e perfino onorato dal re per quello che rappresenta, non per quello che è. È la maschera del potere, un burattino che non pensa mai di ribellarsi ai suoi superiori per costruirsi il suo regno e che finisce per essere utilizzato e gettato via dal potente di turno, sia bianco o sia nero. Si tratta di una considerevole differenza con la tipologia degli eroi fatali e «self-made» quali Aguirre e Fitzcarraldo. È chiaro che costruire una epopea su un personaggio fondamentalmente così meschino è difficile e rischioso. E infatti Klaus Kinski si perde nel film saettando sguardi di fulmine a destra e a manca, senza peraltro impaurire nessuno, tanto meno lo spettatore. Con episodi di involontaria ironia, tra l'altro: come il suo arrivo nel villaggio, filmato come la comparsa di Lee Van Cleef in un western-spaghetti degli anni sessanta. Cobra Verde si potrebbe giustificare solo nell'intreccio di un contesto più ampio, come il prodotto di due società antitetiche ma in realtà pericolosamente affini: quella evoluta degli imperialisti e quella tribale degli africani. Marginale a entrambe, potrebbe esserne la cartina di tornasole capace di rivelarne l'anarchia e la falsa coscienza. Ma Herzog non spinge mai in questa direzione, apparentemente soddisfatto di gratificarci di una serie di «totali» pieni di comparse incorniciate in splendidi paesaggi. Né la monoliticità di Kinski aiuta ad addentrarci nelle pieghe psicologiche del personaggio, se ne esistono. Quando alla fine Francisco Manoel cerca di fuggire, forse non fugge solo dal fantasma della negritudine, ma anche dall'immagine di se stesso. Rifiutato dal Nuovo Mondo e dal Vecchio, non gli resta che tentare l'orizzonte senza contorni del mare aperto, forse verso le montagne bianche predettegli dall'oste gobbo di Bahia. Solo in questo momento il bandito senza gloria conquista una sua grandezza. La grandezza più tragica, quella degli sconfitti che hanno mancato il loro appuntamento con il destino. (…)
Autore critica:Davide Ferrario
Fonte critica:Cineforum n. 273
Data critica:

4/1988

Critica 3:
Autore critica:
Fonte critica:
Data critica:



Libro da cui e' stato tratto il film
Titolo libro:Vicere' di Ouidah (Il)
Autore libro:Chatwyn Bruce

A cura di: Redazione Internet
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