Kaos -
Regia: | Paolo Taviani |
Vietato: | No |
Video: | Fonit Cetra Video, Db Video |
DVD: | |
Genere: | Drammatico |
Tipologia: | Letteratura italiana - 900, Migrazioni |
Eta' consigliata: | Scuole medie superiori |
Soggetto: | Tratto da "Novelle per un anno" di Luigi Pirandello |
Sceneggiatura: | Tonino Guerra, Paolo Taviani, Vittorio Taviani |
Fotografia: | Giuseppe Lanci |
Musiche: | Ennio Morriconi, Nicola Piovani |
Montaggio: | Roberto Perpignani |
Scenografia: | |
Costumi: | |
Effetti: | |
Interpreti: | Omero Antonutti (Luigi Pirandello), Regina Bianchi (madre di L. Pirandello), Claudio Bigagli (Batà), Massimo Bonetti (Saro), Franco Franchi (Zi'dima), Ciccio Ingrassia (Don Lollò), Anna Malvica (la madre di Isidora), Enrica Maria Modugno (Isidora) |
Produzione: | Film Tre, Rai Radiotelevisione Italiana, Rete Uno Tv |
Distribuzione: | Cineteca Nazionale |
Origine: | Italia |
Anno: | 1984 |
Durata:
| 157'
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Trama:
| Si tratta di quattro episodi (nella edizione televisiva cinque: con "Requiem"), del tutto diversi per tema e sviluppi, legati tra loro dal tenuo filo di un volo di corvo, che muove le ali verso il cielo del Prologo. Un gruppo di pastori se ne disputano il possesso, finché uno di essi, legato al collo dell'uccello un campanello, gli rende la libertà. Il palpito delle ali nerissime e il tintinnio di quel campanello (il soggetto è tratto da "Il corvo di Mizzaro", sempre di Luigi Pirandello) punteggeranno a tratti l'andamento del film. PRIMO EPISODIO: "L'altro figlio". Un gruppo di emigranti per l'America sosta brevemente su una strada campestre, in attesa di una carretta. Una donna, una vedova da tutti creduta un po' matta, perché si ostina a fare scrivere lettere ai due figli, emigrati anch'essi da ben quattordici anni e di cui mai ha più saputo nulla, vuole affidare a qualcuno un'ennesima lettera per i due, immemori o ingrati. Ma sul foglio altri hanno malignamente tradotto le sue trepidanti parole di affetto in assurdi sgorbi. Se ne avvede uno dei presenti, di altra estrazione sociale e con garbo glielo fa rilevare. A questo punto, la donna racconta a lui che, trent'anni prima, all'epoca di Garibaldi, il marito le venne ucciso e barbaramente decapitato, un bandito la stuprò e dalla violenza le nacque un figlio. Ai bordi della strada, non lontano, quel figlio è là che attende al pascolo delle proprie bovine. Egli è buono, semplice e laborioso, ma lei non lo ha mai accettato, nè mai potrà accettarlo (tra l'altro, egli è il ritratto vivente di quel bandito). Lo vede anche piangere, respinto e sconfitto nel suo amore filiale, ma "quello" è il prodotto di un orrore subito. La donna resta sola, prigioniera dei ricordi, della miseria e della sua vana speranza, solamente tesa verso quei due lontani, barricata nel proprio rifiuto. SECONDO EPISODIO: "Mal di luna". Dopo neppure un mese di matrimonio, la giovanissima Isidora scopre una sera con terrore che il suo Batà è un licantropo. Rimproverato l'infelice di non averle onestamente dichiarato, prima delle nozze, che il mal di luna lo mette periodicamente in crisi e confidatasi con la madre, quest'ultima condivide e accetta la proposta del giovane: lei stessa ed il cugino Saro si recheranno, ogni notte di luna piena, al casolare isolato nella campagna, per tenere compagnia alla sposina. Si tapperanno al sicuro in casa, mentre Batà ululerà nella notte; poi, tutto tornerà come prima. Isidora aspetta con ansia l'avvenimento, anche perché ha sempre amato Saro (povero, ma più bello e sano di Batà), sa di esserne ammirata e non dubita affatto che, nella notte fatale, tradirà lo sposo. Invece Saro, malgrado le chiarissime offerte della donna, non la possiederà sul letto coniugale: gli fa pena l'infelice cugino che si dibatte all'aperto, lacerato dalle unghiate, dalle grida e dal suo immenso dolore. Così non tocca la donna e stringe tra le mani la testa di Batà, come a tentare di alleviarne la sofferenza. TERZO EPISODIO: "La giara". In una stagione ricchissima di olive, il ricco proprietario don Lollò (l'attore Ciccio Ingrassia) si fa spedire alla masseria un'olla gigantesca. Ma la giara trionfale, installata proprio nel mezzo del grande cortile, una notte misteriosamente si rompe. Zì Dima (Franco Franchi) è un conciabrocche famoso per il suo misterioso mastice: lo si chiama subito, ma don Lollò, diffidente, vuole in più anche una serie di punti di ferro per riparare meglio la giara. Zì Dima lavora d'impegno, cuce e salda il recipiente (che torna perfetto e suona, a toccarlo, come una campana), ma vi resta stolidamente chiuso dentro. Di lui non fuoriesce che la testa e, per di più, egli è gobbo e nessuno ce la fa a tirarlo fuori. Di qui le furie e poi il ricatto di don Lollò ("se vuoi uscire, ti tocca rompere la giara e allora devi pagarmela") ed il rifiuto del conciabrocche, tra le risate dei famigli e dei lavoranti, ai quali Zì Dima offre, anzi, allegramente da bere e da mangiare, sostenendo la tesi che, se il proprietario non gli avesse imposto quei maledetti punti, egli non sarebbe entrato nella giara e ora sarebbe libero. Alla fine, sarà l'arrogante don Lollò a rompere la giara, liberando così il gobbo paziente ed astuto. QUARTO EPISODIO: "Epilogo: colloquio con la madre". Luigi Pirandello (nel film, l'attore Omero Antonutti) torna alla casa natale. Scende alla stazioncina di Girgenti, tardivamente riconosce l'uomo che lo conduce a destinazione con la sua carrozza (e che quasi si offende per la mancia) e si aggira per le ampie e silenziose stanze. Mille dolci memoria lo aggrediscono. Nel salotto "rivede" la madre (Regina Bianchi), che gli parla con pacata affettuosità. Un colloquio si stabilisce, tra l'uomo ormai celebre, ma amaro e chiuso, e la tenera figura materna. Luigi vede il mare da una finestra, ricorda le vele della sua infanzia e chiede alla madre di raccontargli di un famoso viaggio, che lei fece in barca con le sorelline verso Malta, per andare a trovare il Nonno, esiliato in quell'isola...
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Critica 1: | Quattro novelle di Luigi Pirandello (L'altro figlio, Mal di luna, La giara, Requiem) con un prologo e un epilogo in forma di "Colloquio con la madre" (tratto dal racconto Colloqui con i personaggi) in cui Antonutti impersona lo scrittore siciliano (1867-1936). Fedeli alla propria poetica, i Taviani hanno scelto quattro storie di campi e contadini, di umiliati e offesi alle prese con la miseria, l'ingiustizia, le superstizioni. La migliore è, forse, Mal di luna in cui si raggiunge una magica fusione tra orrore, pietà, erotismo; la meno riuscita è Requiem dove l'ideologia (gli intenti di analisi storico-sociale) ingenera un certo monumentalismo dilatato. In un secondo tempo i Taviani decisero di eliminare uno degli episodi: in Italia fu tolto Requiem, in Francia La giara. |
Autore critica: | |
Fonte critica | Il Morandini - Dizionario dei film, Zanichelli |
Data critica:
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Critica 2: | Non fatevi ingannare dalle somiglianze. Non fatevi ingannare da foto di scoloriti libri di viaggio, non fatevi ingannare dalle immagini di cartoline estive, né dai vostri stessi occhi. Tra realtà e immaginazione non c'è rapporto.
Non crediate quindi che la Sicilia che avete visto in Kaos vi sia più vicina della New York cupa e tenebrosa di un qualunque film nero americano. Si sa, chi torna dall'America torna deluso. È partito inseguendo un mito eppure a New York nessun tombino fuma d'inverno.
Così chi crede di aver riconosciuto il castello di Donnafugata alle spalle di Garibaldi nell'episodio o la cattedrale di Ibla in Requiem non comprende l'utopia della poesia. Qui alla realtà si è sostituita la finzione dell'immaginario. Come spiegare altrimenti l'immagine innaturale, oleografica dell'eroe dei due mondi che stringe il tricolore in mano, o la protervia di quei briganti così feroci per cui ogni aggettivo è solo al grado superlativo? Non è un adulto a descrivere questi personaggi ma un fanciullo. Gli scenari sono solo fondali, come i personaggi invenzioni: rappresentano miti, apologhi, non i fatti. Nei Taviani, come in Pirandello, tutto è fiaba, affabulazione, invenzione, inganno. Non a caso.
Una certa Sicilia i registi in fondo non l'hanno neppure potuta riprendere. Volevano iniziare il film con delle riprese aeree dell'isola, ma nessuna cinepresa, presto scoprirono, può filmare dal cielo la Sicilia che è sotto vincolo militare. Per questo hanno utilizzato materiale di Folco Quilici, che essendo di altro formato non sempre è stato possibile riprodurre opportunamente. Così proprio le immagini documentarie risultano a volte le più irreali: le colonne del tempio dorico di Segesta sembrano più lunghe della base dell'intera costruzione. (...)
Di qui poi ben si comprende il perché di quella enfatizzazione dell'io narrante che in ogni film dei Taviani sempre più si presenta. La notte di San Lorenzo si narrava al pubblico attraverso il racconto di una madre, che al bimbo tra le braccia ripeteva una storia, la sua storia, storia di guerra, di sangue, di emozioni insolite e inquietanti. Un tempo la prima realtà che si veniva conoscendo era quella appresa dalle donne che insegnavano le credenze, i riti, le antiche religioni fattesi superstizione e magia, attraverso splendidi racconti, favole avvincenti e meravigliose, dove la realtà era avvolta da un magico mantello ingannatore. Draghi, orchi, animali parlanti informavano della filosofia popolare, della morale popolare.
Anche in Kaos vi sono figure femminili che raccontano, ripetono ai figli, ai giovani, a chi le seguirà nel difficile compito di vivere, la propria esistenza, commistione di Storia e sentimenti, di principi e superstizioni.
Racconta la madre di quel figlio, nato con la violenza da un rapporto con un brigante, nell'episodio L'altro figlio, racconta la madre di Pirandello, il suo esilio, il viaggio forzato, quella giornata di sole, il mare, quel bagno inaspettato, in Colloquio con la madre. Madri, donne che raccontano, come Maristella, la tata di Pirandello. E qui si inseriscono i Taviani, in questo fiume di parole che di bocca in bocca ha gonfiato la cultura popolare.
In Kaos la finzione si somma alla finzione. Se Pirandello usa quel cannocchiale rovesciato per allontanarsi dalle cose più vicine, dalla propria terra, per raccontarne l'ironia e il grottesco, i Taviani si avvicinano ad una terra che non è la loro per trovarvi lo scenario più consono al proprio immaginario.
Si costruisce così una dialettica, un canto e un controcanto tra le immagini dell'uno e quelle dei due fratelli, il primo a volare alto, molestando con il suo scampanio l'immobilità di quegli splendidi paesaggi, i secondi che scendono carrellando fino in primissimo piano sul volto di personaggi, che raccontano il proprio ricordo.
Il corvo osserva dall'alto, mentre in basso la parola e la macchina da presa trasformano avvenimenti, emozioni, sentimenti. Il corvo dei Taviani non è più Il corvo di Mizzaro. Là il corvo si faceva corvaccio, presenza magica, demoniaca, un po' come il gatto di Poe compiaciuto artefice della rovina del suo persecutore.
In Kaos l'uccello di malaugurio, allontanato a sassate dai contadini, non compie alcuna vendetta. È tenuto a prudente distanza. I Taviani tradiscono quel teatro di maschere nude che Pirandello costruisce intorno alla solitudine dei suoi personaggi.
Il suicidio, l'omicidio, la follia, che sembrano essere le uniche soluzioni per le figure pirandelliane avvolte nel disordine, nel caos come coscienza del vuoto, al contrario si aprono nei Taviani ancora una volta all'utopia.
Non a caso la scelta dei registi è caduta su quelle novelle ove Pirandello al grottesco, all'umorismo, all'avvertimento del contrario, esemplificata dallo scrittore siciliano in quella vecchia imbellettata, aggiunge la pietà, quel sentimento del contrario che spinge a vedere più a fondo, a riflettere e comprendere di quella vecchia i sofferti tentativi per trattenere il marito più giovane. Quando i Taviani parlano di Pirandello sembra avvertire in loro una sottile sfumatura di insofferenza, un autore che non possono accettare nella sua totalità. I personaggi che i registi ritrovano in Sicilia sono ancora quelli più amati, i contadini costretti ad emigrare come il Gavino di Padre Padrone, quella madre che racconta la propria esistenza tra storia e favola come in San Lorenzo, la lotta dei contadini per un pezzo di terra che custodisca la propria morte che rimanda agli sforzi di Salvatore in Un uomo da bruciare, o quel viaggio inaspettato e affascinante che porta ancora in quel mare dove Fulvio cerca di tradire con i suoi compagni il sogno di una cosa.
Tornare in Sicilia per i due fratelli, se si vuole, sta a segnare un nuovo inizio, un nuovo modo di porsi dietro la macchina da presa, una stagione diversa con ritmi, tagli, scansioni rinnovati. Kaos mette un punto fermo nella loro produzione cinematografica. Questo film non nasce certo all'improvviso. La voglia di fare spettacolo è un desiderio a lungo coltivato da Paolo e Vittorio, ma anche sempre rinviato, contenuto, schiacciato da esigenze più urgenti, improrogabili, come la necessità di frenare il dato soggettivo e irrazionale, di porlo a confronto con la lucidità della Storia e della coscienza. (...) |
Autore critica: | Fulvio Accialini, Lucia Coluccelli |
Fonte critica: | Cineforum n. 241 |
Data critica:
| 1/1985
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Critica 3: | |
Autore critica: | |
Fonte critica: | |
Data critica:
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Libro da cui e' stato tratto il film |
Titolo libro: | Novelle per un anno (Novelle) |
Autore libro: | Pirandello Luigi |
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