Leggenda del pianista sull'oceano (La) -
Regia: | Giuseppe Tornatore |
Vietato: | No |
Video: | Medusa Video |
DVD: | Medusa |
Genere: | Drammatico |
Tipologia: | letteratura drammatica |
Eta' consigliata: | Scuole medie superiori |
Soggetto: | Giuseppe Tornatore, dal monologo teatrale "Novecento" di Alessandro Baricco |
Sceneggiatura: | Giuseppe Tornatore |
Fotografia: | Lajos Koltai |
Musiche: | Ennio Morricone |
Montaggio: | Massimo Quaglia |
Scenografia: | Francesco Frigeri |
Costumi: | Maurizio Millenotti |
Effetti: | Renato Agostani, Franco Ragusa |
Interpreti: | Tim Roth (Novecento), Melanie Thierry (la ragazza), Pruitt Taylor Vince (Max), Clarence Williams (Jelly Roll Morton), Bill Nunn (Danny), Cory Buck (Novecento da ragazzo), Katy Monique (Cuom), Easton Gage (Novecento da ragazzo), Eamon Geoghegan (Sergente), Gabriele Lavia (il contadino) |
Produzione: | Francesco Tornatore per Medusa Produzione - Sciarlo' |
Distribuzione: | Medusa |
Origine: | Italia |
Anno: | 1998 |
Durata:
| 165’
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Trama:
| Un neonato viene trovato in un cesto nascosto a bordo del transatlantico Virginian che fa il percorso tra l'Europa e l'America. Lo prende con sé un operaio fuochista e gli dà il nome di Novecento, in omaggio al ventesimo secolo che sta cominciando. Novecento rimane sulla nave e, dopo la morte del padre adottivo, tutto l'equipaggio lo aiuta a crescere. Il ragazzino osserva il variopinto mondo dei passeggeri: i ricchi signori in prima classe, gli emigranti che sognano una nuova vita in America, le ragazze, le merci, la confusione. Da adulto, Novecento si accorge che suonare il piano è il suo grande interesse. Cosi comincia, allieta le serata in sala da ballo con l'orchestra, e la fama della sua bravura si diffonde anche a terra. Un giorno, raggiunto da queste notizie, Jelly Roll Morton, il più grande pianista jazz, sale a bordo per lanciargli una sfida pianistica. Novecento accetta e, dopo una fase iniziale di incertezza, si riprende e vince. Qualche tempo dopo, Novecento annuncia all'amico Max che ha deciso di scendere a terra. Ma quando è a metà della scaletta, guarda i grattacieli di New York e torna indietro. Dopo la seconda guerra mondiale, il Virginian deve essere demolito. Max sa che Novecento è ancora sopra, lo trova, cerca di farlo scendere, senza successo. La nave viene fatta esplodere. E Max continua a raccontare una storia alla quale nessuno crede.
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Critica 1: | Trovato in fasce il 1 gennaio 1900 a bordo del transatlantico Virginian, T.D. Lemmons detto Novecento (T. Roth) cresce sulla nave, impara a suonare il piano, diventa l'attrazione dell'orchestra di bordo e non ne scende mai. Quando la nave in disuso sta per essere demolita con la dinamite il suo amico Max (P.T. Vince) è convinto che sia ancora a bordo. Raro esempio di colosso intimista, basato sul monologo teatrale Novecento (1994) di Alessandro Baricco. Storia di un'amicizia come Titanic è la storia di un amore interclassista? No. L'amicizia è importante, ma non centrale. Il collante della narrazione è la musica di Ennio Morricone, impegnato al meglio della sua forma. Soltanto una traccia di romance: il breve, memorabile incontro con una ragazza angelicata. Film epico dalle molte bellezze (la sala-macchine; il pianoforte che pattina nella tempesta; la sfida al Jelly Roll Morton, ecc.), così ricco a livello metaforico da prestarsi a più chiavi di lettura, non si sottrae all'accusa di ridondanza ripetitiva, specialmente nell'ultima mezz'ora. Ideale erede di Sergio Leone, G. Tornatore (1956), il più americano dei registi italiani, è un raccontatore di emozioni dal passo di fondista. |
Autore critica: | |
Fonte critica | Il Morandini – Dizionario dei film, Zanichelli |
Data critica:
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Critica 2: | Capita sempre più raramente di uscire da un film made in Italy portandosi dietro, negli occhi della memoria, un'immagine incancellabile, un fotogramma simbolo - come quelli che ci hanno lasciato la magica apparizione del Rex felliniano, il cortile di L'ultimo imperatore dove corre PuYi bambino, la bambina che balla Amapola in C'era una volta in America, la nave carica di poveracci di Gianni Amelio. E invece, buone notizie: da La leggenda del pianista sull'oceano, l'attesissimo film di Giuseppe Tornatore, si esce con una messe di grandi immagini emozionanti e incancellabili, e con la sensazione che, nonostante le riserve, le crisi, le rinascite annunciate, il cinema italiano ha ancora molte corde al suo arco. Perché con La leggenda del pianista sull'oceano si ripete il miracolo del grande cinema - e del cinema "in grande", a cui il film di Tornatore appartiene di diritto. Non tanto per il suo sontuoso apparato produttivo (quei "production values", come si chiamano nel gergo degli addetti ai lavori, che sono troppo spesso guardati con sospettosa indifferenza quasi inquinassero la creatività e che qui sono garantiti da un budget inusuale, quaranta miliardi tra Medusa e New Line). Quanto e soprattutto perché il film si richiama alla tradizione di un cinema che quasi non c'è più, al cinema inventato, visionario, arrischiato, ambizioso, irrealistico, che così poco fa parte della nostra tradizione - e che nella nostra storia cinematografica ha avuto un maestro come Fellini, da cui molti momenti della Leggenda sembrano discendere, quasi in forma di omaggio. In un certo senso si tratta di una sorpresa: perché Tornatore è sempre stato più un regista di idee e di sentimenti che di grande visione cinematografica - anche se a questa visione aveva cominciato ad avvicinarsi con L'uomo delle stelle. È una sorpresa anche che la visione, salvo qualche cedimento minore e qualche stanchezza, si sposi qui con tanto equilibrio a un sentimento che non è mai sentimentalismo - come se Tornatore, che ha scritto da solo la sceneggiatura, ampliando nella dimensione gigante di due ore e quaranta minuti l'agile monologo di Alessandro Baricco ("Novecento", Feltrinelli), avesse messo la sordina agli eccessi emotivi, pago della ricchezza della cornice visiva e della forza della sua invenzione. (...) La leggenda inventata da Baricco può essere letta perfettamente come la metafora della condizione dell'artista, che non sa riconoscersi nei punti di riferimento e negli stili di vita tradizionali, sempre a metà strada tra mondi diversi, capace di parlare solo attraverso la sua arte. Ma grazie ai due attori protagonisti - un Tim Roth secco, contenuto, minimalista, intenso proprio per il suo pudore, scatenato quando è alla tastiera, e il bravissimo Pruitt Taylor Vince, con il suo faccione da bonario uomo qualunque e gli occhi perennemente inquieti - il versante romanzesco, per quanto improbabile e fantastico, prevale sull'allegoria. Mentre la sequenza da antologia è quella, di puro virtuosismo registico, che vede Novecento e Max, nel grande salone della nave in mezzo alla tempesta, mentre scivolano avanti e indietro con il piano a coda eseguendo la loro musica. È, alla fine, la musica il collante emotivo di Novecento. Al grande jazz di repertorio e a quello scatenato eseguito per il film da Gilda Buttà, Amedeo Tomasi, la Alexander Rag Time Band e altri esecutori, si aggiunge la bella musica scritta appositamente da Ennio Morricone che inventa un tema seducente, di quelli che ti seguono fuori dal cinema, come ai bei tempi. |
Autore critica: | Irene Bignardi |
Fonte critica: | la Repubblica |
Data critica:
| 30/10/1998
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Critica 3: | «L'ultima volta che l'ho visto era seduto su una bomba. Una lunga storia... Lui diceva: " Non sei fregato veramente finché hai da parte una buona storia e qualcuno a cui raccontarla". Lui era la sua buona storia». Nel passare dal palcoscenico teatrale allo schermo panoramico, la storia di Danny Boodman T.D. Lemon Novecento non è cambiata granché; anzi Giuseppe Tornatore ha rispettato alla lettera certi passaggi, travasando brani interi del monologo scenico di Alessandro Baricco (1994) nel proprio copione. A partire dall'io narrante, ovvero il trombettista jazz Max Tooney che rievoca in un clima crepuscolare, mentre il glorioso «Virginian» sta per essere fatto esplodere, la sua amicizia con «il più grande pianista che abbia mai suonato sull'Oceano». Schematizzando un po', si può dire che La leggenda del pianista sull'oceano è per Tornatore quello che fu C'era una volta in America per Leone. Il film di una vita. L'omaggio affettuoso non si limita alla battuta «Che cosa hai fatto in tutti questi anni?» (De Niro rispondeva: «Sono andato a letto presto», Tim Roth: «Ho suonato»); è l'impaginazione stessa della vicenda, così sontuosa ed epica, punteggiata da un languore esistenziale che trova il suo zenit nel toccante dialogo in sottofinale, quando lo sgarrupato trombettista si inoltra nel transatlantico già minato nel tentativo di convincere l'amico, mai uscito da lì, a scendere. Nel riempire di facce e situazioni ciò che il testo di Baricco evocava per visioni poetiche, Tornatore ha confezionato un kolossal europeo che probabilmente non vuole rivaleggiare con Titanic sul piano degli incassi. Anche se la durata del film (quasi 2 ore e 40) e l'incidenza degli effetti speciali (non sempre così speciali) favoriranno il paragone negli occhi dello spettatore. Al quale il regista siciliano regala un universo visivo-sonoro di notevole impatto spettacolare, complice la smaltata fotografia di Lajos Koltai, le complesse scenografie di Francesco Frigeri, i bei costumi di Maurizio Millenotti e le insinuanti (estenuanti?) musiche di Ennio Morricone. (...)Attraverso una complessa struttura temporale (si parte dal secondo dopoguerra e via via si retrocede al periodo d'oro del «Virginian»), Tornatore costruisce una cine-partitura che procede per immagini «forti», momenti corali ed ellissi narrative. Ci sono pagine di notevole bellezza, come la Statua della Libertà che si staglia all'improvviso nella nebbia, la sala macchine come un antro infernale, il pianoforte che scivola per i corridoi della nave «guidato» da Novecento. Altrove, invece, un che di zuccheroso (l'invaghimento per la contadina friulana) o di artificiale (i duetti del trombettista con il vecchio negoziante) spinge il film verso un manierismo all'antica hollywwodiana che stride con il retrogusto amaro, dolente, allegorico della vicenda. Alla quale gli anglofoni Tim Roth (Novecento) e Pruitt Taylor Vince (Max) si intonano con una densità di accenti che purtroppo vanno un po' persi nel doppiaggio. |
Autore critica: | Michele Anselmi |
Fonte critica: | l'Unità |
Data critica:
| 28/10/1998
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Libro da cui e' stato tratto il film |
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