Ultimo dei Mohicani (L') - Last of the Mohicans (The)
Regia: | Michael Mann |
Vietato: | No |
Video: | Panarecord, De Agostini (The English Movie Collection) |
DVD: | Warner home video |
Genere: | Avventura |
Tipologia: | Letteratura americana - 800, Minoranze etniche |
Eta' consigliata: | Scuole medie inferiori; Scuole medie superiori |
Soggetto: | Tratto dal romanzo omonimo di James Fenimore Cooper |
Sceneggiatura: | Christopher Crowe, Philip Dunne, Michael Mann |
Fotografia: | Dante Spinotti |
Musiche: | Randy Edelman, Trevor Jones |
Montaggio: | Dov Hoenig, Arthur Schmidt |
Scenografia: | |
Costumi: | |
Effetti: | |
Interpreti: | Daniel Day-Lewis (Hawkeye), Madeleine Stowe (Cora), Russell Means (Chingachgook), Eric Schweig (Uncas), Johdy May (Alice), Steven Waddington (Heyward), Maurice Roeves (Colonel Munro), Patrice Chéreau (General Montcalm), Wes Studi (Magua) |
Produzione: | Michael Mann, Hunt Lowry |
Distribuzione: | Mikado |
Origine: | Usa |
Anno: | 1992 |
Durata:
| 122'
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Trama:
| Nel 1757, durante la sanguinosa guerra anglo-francese nelle colonie americane dove alcune tribù indiane sono alleate degli inglesi e altre dei francesi, in una impenetrabile foresta, prossima alla zona del conflitto, tre uomini danno la caccia ad un cervo: Chingachgook, ex capo tribù, suo figlio Uncas, ultimi superstiti dei mohicani, e un giovane bianco, Hawheye, adottato dal capo quando da bambino la sua famiglia viene sterminata. Questi vive e veste come gli indiani, ai quali serve da interprete con i coloni inglesi, perché parla la loro lingua.
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Critica 1: | Con diversi aggiustamenti narrativi e ideologici, M. Mann (1953), robusto specialista di cinema d'azione, e il suo cosceneggiatore Christopher Crowe si rifanno alla sceneggiatura scritta da Philip Dunne per l'edizione del 1936. Come e più che nelle versioni precedenti, il vero eroe è il bianco Occhio di Falco (D. Day-Lewis in gran forma), mentre i due Mohicani amici, Chingachook e suo figlio Uncas, gli fanno da spalla. Più che in passato, il culmine della vicenda è l'assedio di Fort William Henry in cui, durante la guerra franco-britannica dei sette anni (1756-63), gli inglesi furono sconfitti da forze francesi preponderanti. Difetti e debolezze non mancano, ma molto gli dev'essere perdonato perché ricrea un senso antico dell'avventura e dei grandi spazi, restituisce (anche per merito del colore di Dante Spinotti) il sapore di un'epoca col gusto di una vecchia stampa, ha la forza ingenua dei grandi sentimenti e dei personaggi a tutto tondo. Il film dà concretezza visiva alla parola "imboscata" e tiene fede alla bella immagine che gli fece da manifesto: l'agile Day-Lewis in corsa col tomahawk in pugno e la lunga carabina a tracolla. Dal romanzo di J. Fenimore Cooper fu tratto anche lo "spaghetti-western" Der letze Mohikaner (La valle delle ombre rosse, 1965, RFT-Sp.-It.) di Harald Reinl con Anthony Steffen come Occhio di Falco e l'azione spostata in avanti di un secolo. |
Autore critica: | |
Fonte critica | Il Morandini - Dizionario dei film, Zanichelli |
Data critica:
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Critica 2: | In tempi in cui il western sembra destinato a riapparire dopo un lungo sonno e pare attento ad inserirsi nel filone trainante dell'ecologia, riadattare per lo schermo un classico della letteratura d'avventura come L'ultimo dei Mohicani poteva essere la scelta più banale; al punto da sembrare anche un briciolo autolesionista, perché come sappiamo i grandi classici d'avventura non godono più del rispetto dovuto e di un grosso appeal presso il grande pubblico nell'epoca del pensiero debole e del riso minore. Ma L'ultimo dei Mohicani versione 1992 gode di una marcia in più, la regìa affidata a quel Michael Mann che è uno dei pochi nomi interessanti tra quelli apparsi nella Hollywood standardizzata degli anni Ottanta. (…) Se Mann si è dedicato a portare sullo schermo L'ultimo dei Mohicani, una spiegazione ci deve essere. Anzi, è evidente: il successo mondiale, superiore alle aspettative (e forse anche agli indubbi meriti) di Balla coi lupi. Al punto che il romanzo di Fenimore Cooper è stato praticamente riscritto e reinterpretato: l'indiano bianco che ne è protagonista è molto indiano e poco bianco, la ferocia dei pellerossa ha alle sue origini una morale profonda, non inferiore a quella che spinge i due eserciti bianchi a massacrarsi quotidianamente a colpi di cannone e scavando inutili trincee. L'indiano bianco, assieme al patrigno e al fratellastro, si schiera dalla parte dei coloni spinti dall'esercito inglese ad arruolarsi con false promesse; si copre di valore al punto da attirare su di sé l'amore della bella cittadina snob rampolla prediletta del comandante inglese; l'aiuta a fuggire dalle mani degli indiani che l'hanno catturata (uno di loro ha giurato di ucciderla per quanto ha dovuto subire in precedenza dal padre) e, dopo vari colpi di scena, ucciderà il rivale in uno scosceso sentiero di montagna. Ma il suo fratello, l'indiano vero che ha nel sangue la tradizione e la gloria del popolo mohicano, è morto; e il film si chiuderà con il padre che sta chiedendo ai suoi dei di farlo morire al più presto a sua volta, non potendo immaginare la propria vita come unico sopravvissuto di una gloriosa schiatta.
Quando si immaginano scene di guerra ridondanti ma non inutili, grandiose e strazianti ma non retoriche, il riferimento a Francis Ford Coppola è quasi d'obbligo per il cinema moderno. E infatti l'assedio della casamatta inglese, in quell'oscurità plumbea squarciata solo dai lampi delle esplosioni, ricorda evidentemente Apocalypse Now; così come la ritualità disciplinare ci fa venire in mente I giardini di pietra, non a caso il film più fordiano tra quelli diretti da Coppola. In L'ultimo dei Mohicani le trincee sono costruite nel sangue, senza lesinare vite umane; i segni delle ferite non sono coreografici ma carnali; ogni insubordinazione viene repressa con una ritualità e una durezza ormai introiettate dai personaggi che la esercitano. Insomma, siamo di fronte al realismo dell'eccesso in una sua ottima esemplificazione cinematografica.
Duelli e avventure sono volutamente amplificati con il ritmo incalzante fornito dalla steadycam, con i suoi carrelli rapidi e mozzafiato che danno il senso della vertigine e che non sono mai inutili o dimostrativi, ma sempre necessari e ben amaigamati con il ritmo della vicenda. Anche la bellezza di Daniel Day-Lewis, uno degli attori più duttili dell'ultimo cinema americano, non è mai pleonastica ma sempre parte integrante di un racconto in cui, come direbbe Francesco Guccini, gli eroi devono sempre essere giovani e belli. I suoi primi piani che la macchina da presa inventa nei suoi movimenti frenetici attraverso concitate fasi di battaglia hanno una caratteristica di kitsch che non infastidisce: è come una conferma della doppia irrealtà dell'assunto (quella che comunque riconosciamo al film d'avventura e quella ulteriore basata sul voluto travisamento del testo letterario d'origine). L'azione non parte subito, ha una preparazione necessaria per inquadrare i personaggi, un lavoro attento e coerente sulla sceneggiatura che non ingessa poi il cinema, che ha la sua rivalsa nella seconda parte del film. Non ritroveremo in L'ultimo dei Mohicani la tragica bellezza di Gli spietati, non vi è la volontà di proporre una visione globale del mondo, della morale e del cinema come avviene in Clint Eastwood. L'ultimo dei Mohicani, pur esibendo una struttura produttiva da film di serie A, conserva per fortuna le preziose caratteristiche dell'ormai defunto cinema di genere; è un miscuglio di vecchio e nuovo che non manca di affascinare anche perché si sottrae al gioco superficiale delle citazioni e scava più nel profondo, individua miti e situazioni nella loro essenza più vera. (…) |
Autore critica: | Stefano Della Casa |
Fonte critica: | Cineforum n. 322 |
Data critica:
| 3/1993
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Critica 3: | |
Autore critica: | |
Fonte critica: | |
Data critica:
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Libro da cui e' stato tratto il film |
Titolo libro: | Ultimo dei mohicani (L') |
Autore libro: | Cooper James Fenimore |
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