Dolls - Dolls
Regia: | Takeshi Kitano |
Vietato: | No |
Video: | Cecchi Gori |
DVD: | Cecchi Gori |
Genere: | Drammatico |
Tipologia: | Spazio critico |
Eta' consigliata: | Scuole medie superiori |
Soggetto: | Takeshi Kitano |
Sceneggiatura: | Takeshi Kitano |
Fotografia: | Katsumi Yanagijima |
Musiche: | Joe Hisaishi |
Montaggio: | Takeshi Kitano |
Scenografia: | |
Costumi: | Yohji Yamamoto |
Effetti: | |
Interpreti: | Miko Kanno (Sawako), Hidetoshi Nishijima (Matsumoto), Tatsuya Mihashi (Hiro, il boss), Chieko Matsubara (la donna de parco), Kyoko Fukuda (Haruna), Tsutomu Tageshige (Nukui |
Produzione: | Bandai Visual - Tokyo FM - TV Tokyo e Office Kitano |
Distribuzione: | Mikado |
Origine: | Giappone |
Anno: | 2002 |
Durata:
| 113'
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Trama:
| Legati da una lunga corda rossa, due giovani amanti vagano alla ricerca di qualcosa che hanno tragicamente perduto. Un anziano yakuza fa misteriosamente ritorno al parco ove era solito incontrare la fidanzata, perduta da tempo. Una giovane pop star sfigurata scopre la devozione di un suo grande ammiratore. Tre storie di amore eterno, delicatamente intrecciate da loro e nate dalle suggestioni del teatro giapponese.
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Critica 1: | Takeshi Kitano, il grande narratore giapponese della violenza criminale e del sordido quotidiano, a cinquantaquattro anni cambia. Si rifà alla cultura storica del suo Paese, all´eleganza depurata e raffinata degli abiti-costumi di Yohji Yamamoto. Si rifà al seicentesco teatro Bunraku, una terza forma teatrale accanto al Kabuki e al No^, rappresentazione di marionette alte un metro e pesanti 5-20 chili. Si rifà a Chimatsu (1653-1724), autore di drammi soprattutto sulla tragica devozione agli altri (padrone, famiglia, amante) e sul suicidio d´amore. Si rifà alla pittura giapponese di paesaggio, cogliendo nelle straordinarie immagini della fotografia di Yanagishima la bellezza e ferocia della Natura nelle diverse stagioni (pesco fiorito, mare d´estate, foglie rosse, neve gelata). Il risultato è Dolls (Marionette), un film accademico ma bellissimo, perfetto. Tre storie d´amore, di annullamento di sè. Una coppia giovane che vaga sino alla morte unita da una corda intrecciata di cotone rosso, i «vagabondi legati» che per non dividersi si eliminano; una coppia impegnata a un appuntamento d´amore attraverso il tempo, con l´uomo che per non mancare all´incontro si lascia uccidere; l´adoratore di una giovane cantante pop che si acceca per non vedere il suo idolo alterato da un incidente d´auto. Le tre storie sembrano atemporali nonostante l´ambientazione contemporanea: le rendono grandi l´intensità della narrazione, la passione espressa da una sorta di immobile atonia, la grandiosa e profonda tensione pittorica delle immagini. |
Autore critica: | Lietta Tornabuoni |
Fonte critica | La Stampa |
Data critica:
| 31/10/2002
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Critica 2: | Qualcuno, a Venezia, lo accusava di eccessivo formalismo; la Mostra non lo ha premiato: ma andatelo a vedere, e poi diteci se Dolls non è un capolavoro. L'imputazione di formalismo manca di senso perché la "forma" è, precisamente, il senso del nuovo film di Takeshi Kitano. Rinunciando alle romantiche storie di crimine, yakuza stanchi e violenza (Hana-bi, Brother), il regista giapponese scrive e dirige un'opera molto più impregnata di cultura del suo Paese rispetto alle precedenti e che, per alcuni versi, ricorda Sogni del vecchio maestro Kurosawa (in particolare il primo episodio, quello delle bambole nel giardino). In montaggio alternato, passano sullo schermo tre storie di straordinaria infelicità, ambientate nel presente ma ispirate alle marionette del cinquecentesco teatro Bunraku (una rappresentazione fa da cornice al film). Un giovane e la sua ragazza, che ha tentato il suicidio quando lui l'ha lasciata per un matrimonio d'interesse, errano senza meta guadagnandosi la denominazione di "vagabondi legati". Un vecchio boss della mala ritrova, solo per un istante, la donna che lo ha atteso tutta la vita. Il fan di una rockstar, ferita in un incidente, sacrifica la vista in nome della fanciulla. Sono tre parabole sulla permanenza dell'amore e su come questo sfidi l'impermanenza delle cose del mondo, rappresentate mediante un iperrealismo trasfigurato e stilizzato, dipinte con una tavolozza cromatica che s'ispira ai colori delle quattro stagioni. Gli esseri umani sono marionette, esposte a tutti i colpi del destino, e come marionette Dolls mette in scena personaggi e attori. Senza lasciarsi andare ai soliti stereotipi sul fatalismo del Sol Levante, ciò che colpisce è il modo in cui il regista "orientalizza" il proprio stile rendendolo ancora più arcano e scarno, fino ad attribuire altrettanto significato alle pause che ai (rari) momenti d'azione; una tendenza che i suoi fan conoscono bene ma che qui si estremizza in inquadrature ferme, giocate su variazioni di luminosità e sospensioni del tempo. Dietro le bellezza dei paesaggi e delle inquadrature, si avverte un senso di fine, di morte che la perfezione formale rende ancora più struggente. Se Kitano non è mai stato quel che si dice un ottimista, Dolls è un film dal pessimismo integrale, però come pacificato con se stesso, purificato al fuoco bianco. Che ti lascia nella memoria come una eco prolungata, una specie di arcana nostalgia. |
Autore critica: | Roberto Nepoti |
Fonte critica: | la Repubblica |
Data critica:
| 2/11/2002
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Critica 3: | Se Takeshi Kitano non fosse uno dei più grandi registi del cinema contemporaneo, Dolls sarebbe acclamato come un capolavoro. Essendo Takeshi Kitano uno dei più grandi registi viventi, Dolls é considerato solo un buon film d'autore certo importante, ma pesante e noioso. Schizofrenia del cinema e del suo destino. Come scrivevamo da Venezia, dove il film è stato presentato rastrellando i frutti di una frigida accoglienza, rea di aver tacciato di estetismo l'ultima fatica del maestro giapponese, con Dolls Kitano scrive la sua teogonia, dà vita compiuta e quadratura teorica a un mondo, quello che ha descritto in tanti e tanti film, da Hana-bi a Sonatine, da Il silenzio sul mare a Brothers, che solo ora si riesce a cogliere nella sua vera essenza e completezza. Che Dolls sia una creazione Io si capisce immediatamente dall'esordio, ouverture poetica e filosofica del film. Le immagini si accendono su di una rappresentazione di marionette Bunraku che "mettono in scena", esse stesse a loro volta messe in scena, I messi per l'inferno, opera del drammaturgo Monzaemon Chikamatsu. Ciascuna marionetta, alta più di un metro, é mossa da tre uomini che in perfetta coordinazione danno vita a questi esseri altrimenti inanimati; una coreografia di corpi vivi che danza la vita di esseri incapaci di un'esistenza autonoma e diretta. Kitano esplicita la premessa filosofica su cui si impernia il film. I messi per l’inferno si trasformano in tre coppie di personaggi che parallelamente vivono il loro destino come una condanna senza appello. Due ragazzi con Io sguardo perso nel vuoto percorrono, legati da una corda rossa, i viali di un viaggio che solo loro conoscono. Li chiamano i vagabondi legati. Erano amanti e promessi sposi, poi il mondo, sotto le spoglie della tradizione e del successo, li ha sottratti al loro destino, spogliati del loro amore e condannati alla pazzia. Ora espiano, si muovono come marionette, attraversando le stagioni come macchie di colore, il rosso autunno e il bianco inverno. Un altro amore impossibile aspetta da anni il suo fidanzato; ha la forma rigida di una donna ormai anziana che, fissa come un punto, aspetta da anni su di una panchina nel parco il ritorno del suo amato allora operaio ora yakuza affermato. Lo sguardo vuoto, gli occhi fermi non si volgono neanche il giorno in cui lui torna nostalgico nel parco in cerca della vita che non ha avuto e dall'amore che non amato. Il terzo é cieco. Un ragazzo si é cavato gli occhi dopo l'incidente che ha costretto la sua cantante del cuore aI ritiro dalle scene. Lei sfigurata non vuole farsi vedere ma ammette al suo cospetto solo il suo innamorato spasimante cieco. Uomini e donne come marionette. Kitano abdica all'ironia, sempre presente, benché sottile, nei suoi trascorsi, per una visione seria e apocalittica del mondo. Il genere umano è senza destino perché lo ha perso nella sua giovinezza. Non può più scegliere, bensì é scelto dal suo passato, dai suoi errori. La bellezza é l'unica salvezza e con essa l'arte come sua messa in scena. Kitano disegna le sue marionette eterodirette in un mondo che loro non sentono e non vedono più bello, accecate come sono dalla mediocrità di vite senza senso. |
Autore critica: | Dario Zonta |
Fonte critica: | l'Unità |
Data critica:
| 1/11/2002
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Libro da cui e' stato tratto il film |
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