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Ballo a tre passi -

Regia:Salvatore Mereu
Vietato:No
Video:Lucky Red
DVD:Lucky Red
Genere:Drammatico
Tipologia:Spazio critico
Eta' consigliata:Scuole medie superiori
Soggetto:Salvatore Mereu
Sceneggiatura:Salvatore Mereu
Fotografia:Renato Berta, Tommaso Borgstrom, Paolo Bravi, Nicolas Franik
Musiche:Giampaolo Mele Corriga
Montaggio:Paola Freddi
Scenografia:Giada Calabria
Costumi:Stefania Grilli, Silvia Nebiolo, Valentina Scalia
Effetti:
Interpreti:Caroline Ducey (Solveig), Yael Abecassis (Francesca), Daniele Casula (Andrea), Mauro Frongia (Macangiu), Angelo Botti (Peppeddu), Sebastiano Lai (Istene), Tonino Fulgheri (Marieddu), Francesco Vedele (Padre Marieddu), Michele Carboni (Michele), Massimo Sarchielli (Massimo), Roberta Perra (Peppuccia), Francesco Barracca (Peppeddu), Domenico Arba (Pera), Pietro Arba (Ziu Predu), Simone Frongia (Giuseppe), Lisa Chessa (Simona), Pietrina Menneas (Maddalena), Carmine Recano (Luca), Agostino Sale (Agustin), Emiliana Gimelli (Giovanna), Giampaolo Loddo (Giorgio), Rossella Bergo (Palla), Alexandra Brancaccio (Travestito)
Produzione:Gianluca Arcopinto, Andrea Occhipinti per Eyescreen
Distribuzione:Lucky Red
Origine:Italia
Anno:2003
Durata:

107

Trama:

Quattro storie, legate alle quattro stagioni. "Primavera": quattro bambini, Andrea, Peppeddu, Macangiu e Istene scoprono il mare che non avevano mai visto prima. "Estate": Michele, un giovane pastore conosce Solveig, una ragazza francese piombata sulla spiaggia con il suo aeroplano, e se ne innamora. "Autunno": una giovane suora torna al suo paese per il matrimonio di una parente e durante i festeggiamenti viene colta dalla malinconia. "Inverno": un anziano attraversa la città di notte alla ricerca di una prostituta, che porta a casa, ma muore prima di consumare l'amplesso.

Critica 1:Quattro episodi ambientati in Sardegna, quattro stagioni dell’anno, quattro momenti della vita Primavera: Un gruppo di bambini va per la prima volta verso il mare, su una motoape. Estate: una ragazza francese arriva in Sardegna su un aeroplanino, si invaghisce di un rude pastore e lo inizia al sesso. Autunno: una giovane suora torna al paesino per il matrimonio della nipote, ma al suo sguardo ormai esterno si rivelano mille piccoli dettagli, incrinature, inquietudini. Inverno: un anziano solo cerca conforto nella compagnia di una prostituta, ma dopo l'incontro (più struggente che erotico) muore. I personaggi di un episodio ricompaiono talvolta negli altri (ad esempio il protagonista dell'ultimo era già tra gli invitati del matrimonio, nell'episodio precedente), a costruire un affresco della Sardegna d'oggi che, nonostante le premesse quotidiane e dimesse, è di grande ambizione. Anche se nessuno degli episodi è ambientato nel passato, il percorso dei quattro episodi è altresì un viaggio ideale dalla Sardegna più aspra e arcaica alla solitudine urbana senza speranza. Il risultato è comprensibilmente diseguale. Belli i primi due episodi (e addirittura bellissimo il primo, di un realismo che si fa poesia senza sforzo); man mano però il film perde quota, fino a impantanarsi in un finale poetico insistito, "alla Fellini", che lascia l'amaro in bocca. Peccato. Ballo a tre passi (primo lungometraggio di Salvatore Mereu, già allievo del Centro Sperimentale, e vincitore della Settimana della Critica di Venezia 2003) rimane tuttavia un film importante. Non solo perché sancisce definitivamente la nascita di un cinema fatto e pensato in Sardegna (insieme ai recenti film di Columbu, Grimald Pau, Sanna), ma proprio per il suo posto eccentrico nel cinema e nell’Italia di oggi. La regia ha carne sangue, il suo talento è tutto di messinscena e di sguardo, sa cercare cose da guardare e osa, anche a costo di sbagliare per eccesso e per generosità.
Autore critica:Emiliano Morreale
Fonte criticaFilm TV
Data critica:

23/9/2003

Critica 2:È la contiguità fisica a legare i 4 capitoli di Ballo a tre passi . Così suggerisce Salvatore Mereu, ottimo esordiente trentottenne. E questo non significa solo che la coerenza narrativa sia data dal fatto che i protagonisti dei primo capitolo sono i compri-mari dei secondo e così via, in modo che sempre resti sullo schermo memoria degli stessi visi e degli stessi luoghi. La contiguità cui allude Mereu è anche più profondamente espressiva, più legata alla suggestione dei colori e dei suoni. In Autunno potremmo non vedere il piccolo Andrea (Daniele Casula), protagonista di Primavera, e tuttavia sapremmo che il suo mondo è lo stesso di Ziu Predu (Pietro Arba). E sapremmo che entrambi condividono immediatamente - già con la “presenza’ sullo schermo dei loro corpi, dei loro desideri, delle loro paure - il mondo di Michele (Michele Carboni), la cui Estate e la cui giovinezza sono prese fra il silenzio arcaico del Supramonte e il chiasso d’una spiaggia colma di turisti. E a quello stesso mondo appartiene certo il vecchio Giorgio (Inverno), per quanto ne viva lontano e si trovi a soffrirne la nostalgia. Contigue si direbbero dunque l’adolescenza, la giovinezza, la maturità e la morte... Conviene però fermarsi qui. In Ballo a tre passi non c’è alcuna ostentata volontà di metafora. Mereu non ci illustra il tempo biografico attraverso il succedersi delle stagioni. Il suo interasse sta invece ben dentro il piacere e l’emozione di guardare e mostrare. Il suo mare vale per se stesso, per quanto la macchina da presa ne cattura l’assoluto di luce e colore. Lo stesso accade per il Supramonte, per gli interni pieni d’ombre, per i suoni di parole antiche, per gli spazi che stanno fuori della Storia.
Certo, può accadere che in platea si legga il film anche come metafora. Allora Primavera (il capitolo più bello, più essenziale) ci pare rimandare alla scoperta del desiderio, di cui Estate mostra l’esplodere nella carne e nel cuore, mentre Autunno ne preannuncia l’inaridirsi, il ridursi a normalità sociale, poco prima che Inverno ne metta in scena l’assenza. Ma tutto questo si aggiunge a un’emozione visiv2 che è il cuore stesso del film, la sua ragion d essere e che si giustifica appieno in se stessa e per se stessa. Forse, non sempre Mereu riesce a mantenere il suo cinema allo stesso livello di emozione visiva. C’è, qua e là, qualche sovrappiù di racconto qualche forzatura poetica troppo poetica. In Estate, per esèmpio, la sceneggiatura non ha saputo fermarsi al momento in cui, dopo averla avuta, Michele vede volar via Solveig (Caroline Ducey) alla guida del suo aereo. E ancora, a Mereu è mancato il coraggio di chiudere Inverno con l’immagine di Palla (Rossella Bergo) che, tenera e dolce, Canta Cielito lindo china su Giorgio (Giampaolo Loddo) che muore. Accade perciò, e purtroppo, che Estate si perda nell’immagine goffa di un aereo precipitato in mare, mentre Inverno stemperi la sua emozione in un funerale in stile felliniano (ma che Fellini avrebbe fatto bene a non girare). Tuttavia è sufficiente che in platea si operi qualche “taglio mentale” nel corpo dei film, per restituirgli tutta la sua leggerezza. E così con Andrea (Primavera) si vive un senso felice di stupore magico, che forse si è dimenticato da tempo. Oltre il bianco di una duna, nello splendore intatto di una spiaggia vuota, non solo l’eros ma proprio il mondo si apre inaspettato, interminabile come l’orizzonte. Ai suoi e anche ai nostri occhi, ora tutto è sacro, tutto èpotente, tutto può accadere. Quel tutto accade a Michele, sceso dal silenzio immobile del Supramonte fino al mare, Lì, in una spiaggia ora oppressa da un’umanità vociante, un buffone folle (Massimo: Massimo Sarchielli) induce il suo desiderio a farsi infinito come l’orizzonte. E infatti, dopo l’amore tra le montagne, Michele e Solveig urlano al cielo la loro certezza d’essere il centro dei mondo. Ma è già Autunno. L’infinita possibilità si riduce, si fa istituzione, si affatica e si consuma. Qualcuno si sposa e si sceglie un futuro da cui non potrà più fuggire. Altri (Francesca: Yael Abecassis) si escludono dall’eros per amore di un mondo sperato al di là del mondo. Altri ancora ne testimoniano niente più che la memoria. Poco conta che, ostinati e in onore della vita, gli uomini e le donne non rinuncino a danzare il loro «ballo a tre passi». Necessario, segue un Inverno che niente più sa del mare.
P.S. Anche noi, come si vede, ci siamo lasciati andare alla metafora. È questo un buon diritto d’ogni spettatore, soprattutto quando il film l’abbia catturato e portato dentro di sé, facendolo contiguo alla fisicità delle sue immagini e della sua lingua.
Autore critica:Roberto Escobar
Fonte critica:Il Sole 24 Ore
Data critica:

14/9/2003

Critica 3:
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Fonte critica:
Data critica:



Libro da cui e' stato tratto il film
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A cura di: Redazione Internet
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