Miracolo (Il) -
Regia: | Edoardo Winspeare |
Vietato: | No |
Video: | |
DVD: | 01 Distribution |
Genere: | Drammatico |
Tipologia: | Diventare grandi |
Eta' consigliata: | Scuole medie inferiori; Scuole medie superiori |
Soggetto: | Giorgia Cecere |
Sceneggiatura: | Giorgia Cecere, Pierpaolo Pirone |
Fotografia: | Paolo Carnera |
Musiche: | Donatello Pisanello, Cinzia Marzo |
Montaggio: | Luca Benedetti |
Scenografia: | Sabrina Balestra |
Costumi: | Maria Giovanna Caselli |
Effetti: | Proxima, Paolo Zeccara |
Interpreti: | Claudio D'Agostino (Tonio), Carlo Bruni (Pietro), Anna Ferruzzo (Annalisa), Stefania Casciaro (Cinzia), Angelo Gamarro (Nonno), Rosario Sambito (Sarino), Luca Cirasola (Giornalista), Frank Crudele (Masi), Cosimo Cinieri (Preside), Celeste Cacciaro (Madre di Cinzia) |
Produzione: | Sidecar Films & Tv, Rai Cinema |
Distribuzione: | 01 Distribution |
Origine: | Italia |
Anno: | 2003 |
Durata:
| 93'
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Trama:
| Tonio, un bambino di dodici anni, viene investito dall'automobile di Cinzia e prima di cadere in coma vede qualcosa che cambierà la sua vita. In ospedale, quando riprende conoscenza, per caso entra in contatto con un uomo in fin di vita. Tonio si avvicina a lui e, quando lo tocca, l'elettrocardiogramma che segnava sul monitor una linea piatta ritorna normale. E' stato un miracolo? Quando la notizia si diffonde, alcuni giornalisti cercano di convincere i genitori di Tonio a fare un servizio sul bambino per RaiDue. Il bambino, che ha rivisto la sua investitrice ma dinanzi alla polizia ha fatto finta di non riconoscerla, la cerca per parlarle e cambierà la sua vita...
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Critica 1: | E dunque, vale la pena credere ai miracoli. Può infatti accadere che un giovane regista racconti una storia ad alto rischio senza precipitare nel patetico. Il dodicenne Toni, dopo un incidente causato dalla randagia Cinzia, diventa uno specie di guaritore. Realtà o leggenda filtrata attraverso la credulità pataccara dei "fatti vostri" televisivi? Edoardo Winspeare, salentino d'origine mitteleuropeo, si immerge nella Taranto e sceglie il miracolo come pretesto per raccontare altre storie: di problematiche intimità, di degrado metropolitano, di bellezze sottopelle. La sua scrittura è “in levare”, parte dalle piccole cose, da scorci qualsiasi, poi li amplifica, li approfondisce. Come quella figura di genitore, il padre di Tonio, all'inizio così scontato nel suo sfogo-atto-dovuto all'ospedale e poi invece compiuto - persona e non più solo personaggio - alla veglia funebre del vecchio, quando dice al figlio che lui sì, può restare. Miracolo della sceneggiatura (di Giorgia Cecere e Pierpaolo Pirone) e della macchina da presa. Quello di Winspeare, lo sappiamo, é uno sguardo ostinato: ci crede alla bellezza, la trova anche nella devastazione del contesto che inevitabilmente si riflette nei cuori e nell'anima. La trova negli occhi di un bambino o nel volto disperato di una ragazza a un passo dal suicidio. La trova nella "Solea", quell'aspro impasto di luoghi, musica e odori che diventa alla fine pura luce. Quella di Taranto che di sequenza, con i suoi contrasti anche simbolici (il plumbeo fumogeno degli stabilimenti diventa cancro nella carne degli ammalati dell’Iiva), si fa pervasiva. E chiarisce, illumina, in fondo spiega. Spiega che il vero miracolo é proprio in questo sguardo che riscopre il valore dell'amore assoluto e della sua forza dirompente. Meno viscerale del precedente film di Winspeare, il bellissimo Sangue vivo, e forse più ambizioso e "di testa", Il miracolo é comunque autentico, sincero, finalmente necessario. |
Autore critica: | Vincenzo Sangiorgio |
Fonte critica | Cinemavvenire |
Data critica:
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Critica 2: | Un ragazzino un po’ nano partito dal centro di Taranto si ritrova con la sua bicicletta in aperta campagna (cosa che vuole minimo 15 km di pedalate!) giusto in tempo per essere investito da una Panda Special che lo becca dopo un’inchiodata di 30 metri. Il novello Pantani, risvegliatosi dal colpo senza problemi, inizia a curare la gente con i superpoteri nel frattempo acquisiti, essendo nel mentre indeciso se approfittare della signorina dotata di scucchia che gli ronza stranamente intorno... Come quasi tutte le città antimetropolitane del sud, Taranto non è un locus cinematograficus ampiamente riconosciuto: pienamente ignorata dalla cinematografia nazionale, frullata nella sua provincialità all’incrocio tra Salento, Murge e mare aperto, è il magico posto dove si può vivere l’esempio più sputato di una decadenza fondata sul cemento, annegati metaforicamente, oltre che fisicamente, nel marasma dei fumi della mostruosa alma mater Italsider; qualcosa, insomma, di molto vicino a una specie di Busto Arsizio sul mare, con in più una selva di cozzari sul lungomare e un hinterland da provincia industriale incrostata nella ruggine e decaduta. Non è, dunque, una strana occasione quella che ha permesso fino a oggi solo a pochissimi coraggiosi a misurarsi con le contraddizioni di una città che sembra comunque viva, almeno nel suo speciale underground 'sottomarino', nonostante tutto attraversata in lungo e in largo da falde di resistenza che guardano avanti, oltre la persistenza del rifiuto solido urbano. A memoria di cinéphile c’era stato solo il buon Soldini, che tra l’altro dedicandosi soltanto per metà film a una Taranto periferica e dunque totalmente “nuova” aveva furbescamente trapassato tutto quel discorso che sta alla base della natura contraddittoria della città di Taras: la situazione liminale del bilico tra i due mari, lo scontro (e l’emarginazione dell’una sull’altra) tra le i differenti nuclei (l’originario isolotto della città vecchia e la espansione in terraferma, appunto), mondi la cui eterogeneità va di passo con una convivenza forzata che vorrebbe fondere il mare blu con l’industria pesante, la tradizione dei pescatori con la mera vita cittadina. E adesso, invece, il finora quotatissimo (quantomeno tra gli intenditori dei cinecinemas italici) Winspeare che salta in groppa alla polpetta tentando di sviscerarla a mani nude, provando con Il miracolo un’operazione che ha veramente del titanico, all’interno di un plot che, se all’apparenza sembrerebbe un mero apologo della fanciullesca felicità perduta, con tanto di meccanica necessità di recupero della bellezza, nasconde anche un non banale discorso sulla natura spuria di un luogo e delle sue inevitabili influenze sulle vite delle persone. Non solo l’incipit sul fumo della ciminiera, ma anche gli innumerevoli piani che instaurano uno skyline di mostri metallici rendono ragione di una città su cui incombe pesante la malattia mortale, con un impietoso panorama inorganico che circonda ogni sguardo possibile, simbolo ideale della speranza ormai perduta.
È su questo sostrato che si definisce tutta quanta la storia: e vale forse poco la coscienza della sua deviazione verso il banale e pretenzioso, quando comunque il film lo si percepisce costruito in maniera fresca e sincera sia sui volti distesi dei giovani protagonisti che sulle facce ingrugnite degli adulti totalmente e puntualmente messi in crisi. Il film di Winspeare, invece, a differenza di quanto può segnalare uno sguardo che si punteggia sulle inevitabili smagliature di recitazione (se fosse solo per quello: è il rispetto per il dialetto tarantino, allora, dove sta?) o sulle rare sborate pseudo-autoriali (tra cui da segnalare alcuni piani-sequenza invero assolutamente pessimi), va giudicato per il suo coraggio anti-giubilatorio e la sua voglia di fare al di là di ogni realtà: il lavoro del regista salentino è, in tal senso, ampiamente legato alla credenza dello spettatore nelle regole del gioco instaurate all’inizio della fiera: nelle immagini de Il miracolo Taranto diventa improvvisamente quella metropoli (300mila abitanti...ma quando?) "da cinema" che (non solo al cinema) non è mai stata, e si fa spazio per una storia che può essere sopportata solo se si ha l’incoscienza di credere ancora nelle favole.
Questo è ciò che tenta Winspeare, e senza barare né cercare facili assi nella manica al di là delle carte in tavola: un racconto vagamente mitico, improntato sulle rigide (ma si potrebbe anche dire 'tradizionali') regole della strutturazione drammatica, che mantiene però una sufficiente voglia di ricerca paesaggistica che fa rivalutare il tutto. Non il massimo della vita, certo, ma magari qualche volta potrebbe far bene lasciarsi cullare tra le onde del mito: tra qualche coriandolo e una schweppes buttata per terra, può capitare di sorridere di nuovo. |
Autore critica: | Mauro Gervasini |
Fonte critica: | Film TV |
Data critica:
| 1/09/2003
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Critica 3: | |
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Data critica:
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Libro da cui e' stato tratto il film |
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