Donna della spiaggia (La) - Woman On the Beach (The)
Regia: | Jean Renoir |
Vietato: | No |
Video: | Biblioteca Rosta Nuova, visionabile solo in sede |
DVD: | |
Genere: | Drammatico |
Tipologia: | Storia del cinema |
Eta' consigliata: | Scuole medie superiori |
Soggetto: | Tratto dal romanzo “None So Blind” di Mitchell Wilson |
Sceneggiatura: | Frank Davis, Michael Hogan, Jean Renoir |
Fotografia: | Harry J. Wild |
Musiche: | Hanns Eisler |
Montaggio: | |
Scenografia: | |
Costumi: | |
Effetti: | |
Interpreti: | Joan Bennett (Peggy Butler), Charles Bickford (Butler), Frank Dorien (Lars), Nan Leslie (Eve), Yan Norris (Jimmy), Irene Ryan (Sig.ra Vermecke), Robert Ryan (Tenente Scott), Walter Sande (Vermecke), Glen Vernon (Kirke) |
Produzione: | Jack J. Gross |
Distribuzione: | Non reperibile in pellicola |
Origine: | Usa |
Anno: | 1946 |
Durata:
| 71'
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Trama:
| Un ufficiale di Marina si innamora di Peggy, la moglie di un pittore cieco. Ma, dopo un drammatico confronto tra i due, la donna sceglie di restare accanto al marito.
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Critica 1: | Dal romanzo None So Blind di Mitchell Wilson. Traumatizzato da esperienze belliche, un ufficiale di Marina incontra sulla spiaggia la moglie di un pittore cieco e ne rimane affascinato. Scoperta la relazione tra i due, il pittore dà fuoco alla casa. L'ufficiale li salva; la moglie resta col marito. Sesto e ultimo film hollywoodiano di Renoir. La durata insolitamente breve si spiega con i tagli voluti dai responsabili della RKO (spaventati dall'erotismo esplosivo delle scene tra Ryan e la Bennett) che imposero anche la posticcia lieta fine. Quel che rimane è un noir con donna fatale come tanti, anche se frammentario e qua e là illuminato da passaggi onirici. Secondo uno dei pochi critici francesi che ne presero le difese, è un "film atemporale, puramente astratto, che esige una lettura di secondo grado alla luce della psicanalisi". Il fiasco pose fine all'avventura americana del regista. Il produttore americano Darryl Zanuck commentò: "Renoir ha molto talento, ma non è dei nostri". Un bell'epitaffio. |
Autore critica: | |
Fonte critica | Il Morandini – Dizionario dei film, Zanichelli |
Data critica:
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Critica 2: | Prima di lasciare gli USA, il regista gira un ultimo film, The Woman on the Beach, (1946), altro caso controverso. Certamente il disaccordo in cui si trovano i critici a proposito di molte opere del Renoir piú recente è anche il sintomo della ricchezza di stimoli che il lavoro del regista contiene. Bazin ha osservato che il primo giudizio da lui dato sui film americani di Renoir appena arrivati a Parigi era falso: falsato dal fatto che chi aveva amato il Renoir degli anni Trenta era cinque anni dopo indotto a giudicare ogni nuova opera in rapporto ai grandi film del passato, sulla base di una piú o meno spiccata somiglianza con essi. Non c'era modo allora di accorgersi subito del profondo cambiamento che si stava attuando nel mondo poetico del regista. Ma, per quanto riguarda The Woman on the Beach la controversia non si esaurisce in questi termini. Una minoranza di critici, tra cui Jacques Rivette, lo considera un capolavoro; la maggioranza lo trascura. Dal canto suo Renoir sembra voler incoraggiare i secondi, facendo sapere che del film sono state girate due versioni: «La prima era talmente esplosiva sul piano sessuale che ho dovuto, dopo le prime previews girarne un'altra dove non c'era assolutamente piú nulla». Poiché risulta che le parti girate di nuovo sono quasi soltanto una parte delle scene tra Joan Bennet e Robert Ryan, la dichiarazione va interpretata nel senso che il regista è stato costretto a operare dei tagli tali da snaturare completamente l'opera (e infatti ha una durata inconsuetamente breve, solo 71 minuti). A che vale allora riservare a un film mutilato gli entusiasmi di Rivette?
Di questo film si può capire piú la genesi che giudicare i risultati. È quasi certo che arrivando negli Stati Uniti Renoir avesse del cinema americano un concetto sbagliato. Abituato alle fatiche che gli erano costati i film francesi, improvvisati di volta in volta, considerava Hollywood soprattutto come un centro dove il cinema era veramente un'industria, e vedendo di questo supposto fatto solo gli aspetti positivi: la possibilità di disporre
di mezzi tecnici adeguati e di attori dall'impegno professionistico, la mancanza di limitazioni o preoccupazioni finanziarie. Per lui il cinema americano era rimasto quello dei Griffith e degli Stroheim. Con questa immagine nella testa, Renoir si è sempre illuso che un giorno o l'altro avrebbe potuto fare il suo film all'americana, mettendo la sua personalità al servizio di una organizzazione efficiente per realizzare finalmente un'opera spettacolare e - sia pure - cosmopolita. Non ha mai sottovalutato le condizioni di precarietà in cui dovette realizzare gran parte dei suoi film e non ha mai cessato di considerarsi una specie di dilettante con una forte personalità. La sua ambizione di professionalizzarsi non si è mai realizzata, e in America avrebbe imparato a sue spese quanto difficile sia perseguire questo obiettivo. Del resto, era una ambizione contraddittoria, poiché egli non poteva far tacere la sua «personalità» e mettersi tout-court a tradurre in immagini una sceneggiatura qualsiasi, con lo stesso spirito con cui un pianista suona uno spartito altrui, né aveva l'animus per trasformarsi in una fabbrica di congegni spettacolari, come è riuscito cosí bene, e anche con notevoli risultati, a Hitchcock. Avesse veramente perseguito sino in fondo questa bizzarra ambizione, sarebbe ben presto scaduto al rango di comprimario come è successo ai molti «grandi» (Lang in testa) inghiottiti dalle sabbie mobili nella impietosa Hollywood degli anni Quaranta.
Tuttavia, a loro modo, i cinque film americani hanno rappresentato altrettanti tentativi di inseguire questa illusione. Altrettanti fallimenti da tale punto di vista, sebbene non cosí fallimentari appaiano, nel complesso, i risultati artistici. Dietro a The Woman on the Beach, che avrebbe dovuto essere una specie di Greed, «un film d'avanguardia che sarebbe stato al suo posto venticinque anni prima tra Nosferstu, il vampiro e Caligari» (Ma vie et mes films, cit., pag. 229), c'era il tentativo di far rinascere un cinema violento come quello di Stroheim. Un cinema di grandi passioni e un risvolto in senso naturalistico dell'esasperato psicologismo americano. Per essere efficace questo naturalismo aveva bisogno di essere esplicito come il cinema americano nel 1946 non poteva permettersi di essere. Ecco perché l'opera rimane monca, e assai lontana, almeno nella versione che si conosce, da dove aveva ambizione di arrivare. Ecco perché, mancando quello slancio «esplosivo sul piano sessuale» che Renoir dice di aver cancellato nella versione finale, resta un drammone contorto e poco leggibile. Le tempeste che squassano i rapporti del trio di protagonisti (composto da un pittore diventato cieco, da sua moglie dipsomane e da un marinaio che fa da terzo incomodo) sono troppo blande e convenzionali per essere significative. Non sono tempeste all'altezza delle ambizioni del regista. E con ciò Renoir conclude la sua attività americana. «Il fiasco di The Woman on the Beach segnò la fine dalla mia avventura Hollywoodiana. Da allora non sono piú tornato in un teatro di posa americano per fare un film. Zanuck, che di registi se ne intendeva, spiegò un giorno il mio caso a un gruppo di cineasti americani. La sua diagnosi è tutto sommato lusinghiera per me e perciò non esito a riportarla: 'Renoir - disse - ha molto talento, ma non è dei nostri' ». (Ma vie et mes films, cit., pag. 230). |
Autore critica: | Carlo Felice Venegoni |
Fonte critica: | Jean Renoir, Il Castoro Cinema |
Data critica:
| 2/1975
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Critica 3: | |
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Libro da cui e' stato tratto il film |
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