Lebanon - Lebanon
Regia: | Samuel Moaz |
Vietato: | No |
Video: | |
DVD: | 01 distribution |
Genere: | Guerra |
Tipologia: | La guerra, La memoria del XX secolo |
Eta' consigliata: | Scuole medie superiori |
Soggetto: | |
Sceneggiatura: | Samuel Moaz |
Fotografia: | Giora Beach |
Musiche: | Nicolas Becker |
Montaggio: | Arik Lahav-Leibovich |
Scenografia: | Ariel Roshko |
Costumi: | Hila Bargiel |
Effetti: | |
Interpreti: | Oshri Cohen, Zohar Shtrauss, Michael Moshonov, Itay Tiran, Yoav Donat, Reymond Amsalem, Dudu Tassa |
Produzione: | Israeli Film Fund, Paralite |
Distribuzione: | BIM |
Origine: | Israele |
Anno: | 2009 |
Durata:
| 92'
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Trama:
| Prima guerra del Libano, giugno 1982. Un carro armato e un plotone di paracadutisti vengono inviati a perlustrare una cittadina ostile bombardata dall’aviazione israeliana. Ma i militari perdono il controllo della missione, che si trasforma in una trappola mortale. Quando scende la notte i soldati feriti restano rinchiusi nel centro della città, senza poter comunicare con il comando centrale e circondati dalle truppe d’assalto siriane che avanzano da ogni lato. Gli eroi del film sono una squadra di carristi – Shmulik, l’artigliere, Assi, il comandante, Herzl, l’addetto al caricamento dei fucili, e Yigal, l’autista – quattro ragazzi di vent’anni che azionano una macchina assassina. Non sono coraggiosi eroi di guerra ansiosi di combattere e di sacrificarsi.
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Critica 1: | Prima guerra del Libano, anno 1982. Un carro armato viene inviato a controllare una piccola cittadina ostile in cerca di nemici. Dentro il cingolato, un artigliere, un capocarro, un servente e un pilota. Le pareti grondano grasso e umido, il pavimento è una lamiera putrida e melmosa. Dallo schermo trasuda puzza di piscio e di paura.
Questo è il luogo dell'azione di Lebanon, e i quattro soldati stipati e puzzolenti ne sono i protagonisti. Ottime premesse per un film originale sulla guerra (a primo sguardo, ottiene lo stesso effetto di No man's land di Tanovich), avvalorato il tutto dal dato autobiografico del regista. Samuel Maoz nasce a Tel Aviv nel 1962 e nel giugno del 1982 uccide il suo primo uomo in guerra. In Lebanon ha voluto, non tanto raccontare l'evento o i fatti di quel conflitto, quanto realizzare un film esperienziale, in cui lo spettatore fosse costretto a vivere quello che vivono i soldati dentro il carrarmato, senza sapere più o meno ciò che loro stessi sanno.
Un film opera prima, che Venezia ha deciso di premiare con il Leone d'Oro. Premio come al solito di compromesso che sopravvaluta un film mediamente meritevole. Maoz infatti riesce nell'operazione claustrofobica e nella sensorializzazione dello schermo, ma costruisce attorno ai quattro personaggi storie altamente stereotipate, dall'esito tristemente prevedibile. Assai discutibile (e infatti ha fatto assai discutere) inoltre la scelta di mostrare un "esterno" al carro armato tutto nemico, ostile, pericoloso, rivoltando così a favore di una sola parte in gioco la realtà del ruolo vittima-carnefice nel confronto israelo-libanese. Ma Lebanon ha ricevuto aspre critiche anche in casa, nella stessa Israele, dove in molti hanno trovato reprimevole la scelta del regista di far interpretare i soldati israeliani a quattro attori che in realtà hanno "marcato" il servizio militare obbligatorio.
Notizie di contorno, queste, e non certo fondamentali per la visione del film. Rimane invece il dato di una pellicola di buon impatto emotivo, ma scarsa nella scrittura e ingenua nel disegno complessivo. Un Leone d'oro immeritato, mentre invece il prezzo del biglietto è ben speso.
Roberta Ronconi, , 23 ottobre 2009 |
Autore critica: | Roberta Ronconi |
Fonte critica | Liberazione |
Data critica:
| 23 ottobre 2009
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Critica 2: | Film-metafora su un paese corazzato e in trincea perenne, che vaga in spazi horror pericolosi e ostili. Ma sopravvive, in questo caso, siamo nel 1982, giocando duro. Siamo prima di Sabra e Chatila, e del lavoro sporco mercenario. L'operazione si chiamava «fuoco ardente» o, decriptando, bombe al fosforo bianco (proibite dalle convenzioni internazionali) sganciate anche da inaffrontabili bombardieri israeliani, per rimuovere intralci geografici tipo insignificanti villaggi libanesi brulicanti di feddayn vigliacchi (ma giusto per introdurre la scena più ridicola, con tanto di donna snudata, giustamente considerata dai Cahiers du cinema un bel «tocco di porno bellico»)... L'opera prima è basata sulle traumatiche esperienze da carrista dello sceneggiatore-regista Samuel Maoz, intrappolato nel panzer dietro le linee nemiche, all' inizio dell'invasione di 27 anni fa, con 4 altrettanto inesperti commilitoni (sognanti mamme, licenze o maestre dalle grandi tette, o pronti a impazzire). Anche qui l'unico insensibile, freddo torturatore (trucchetto da western) sarà l'alleato maronita che dovrebbe soccorrerli, ma non vede l'ora prima di cavare l'occhio con un cucchiaio o tagliare cristianamente il pene a un prigioniero siriano (?)... Insomma ci si autoassolve, per aver eseguito gli ordini superiori - le bestie sono altre - dopo avere rievocato, oniricamente, l'incubo di ogni guerra: sparare su donne, vecchi e bambini, fare a pezzi un contadino e i suoi polli, mentre l'asino piange solitario sul selciato...
L'assalto è vissuto dentro il panzer supertecnologico, che resiste anche a un bazooka che lo becca da 5 metri. Ritmato, con accademica scienza drammaturgica, da «esterni» catturati tramite i sistemi visuali di puntamento, più qualche incursione «out». Premiata a Venezia con generosità eccessiva questa pellicola ha convinto Sight and Sound per il suo peggiore difetto, cioé perché sarebbe «formalmente innovativa». Forse per le facce dei soldati trasfigurate, sporche di petrolio, rigate di lacrime, soffuse di luce divina? Ma le forme sono ben cotte solo dal buon senso, mai dal senso comune. Comprensibile, comunque, la soddisfazione, per una piccola cinematografia, di brillare nel «genere bellico», filone sommergibili, stile U-boot, che è sempre stata la grande specialità tedesca, anche d'epoca Ufa, più ancora che di Hollywood. Il film d'azione claustrofobico, dal punto di vista grafico, acustico e narra è un difficile oggetto d'esportazione. Invece la trilogia funziona, e qui, dopo Valzer con Bashir e Fortezza di Beaufort c'è un motivo di orgoglio particolarmente sbandierato in più. L'eroe è il carrarmato? Ebbene il carroarmato è oggi proprio la fierezza dello stato di Israele. Lo hanno costruito da soli, è tecnologia solo «stella di David». Da quando gli Usa non glieli regalano più. |
Autore critica: | Roberto Silvestri |
Fonte critica: | Il Manifesto |
Data critica:
| 23 ottobre 2009
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Critica 3: | |
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Fonte critica: | |
Data critica:
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Libro da cui e' stato tratto il film |
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