Sposa turca (La) - Gegen die Wand-Head On
Regia: | Akin Fatih |
Vietato: | 14 |
Video: | |
DVD: | Fox - Biblioteca Panizzi |
Genere: | Drammatico |
Tipologia: | La condizione femminile, Migrazioni, Minoranze etniche |
Eta' consigliata: | Scuole medie superiori |
Soggetto: | Fatih Akin |
Sceneggiatura: | Fatih Akin |
Fotografia: | Rainer Klausmann |
Musiche: | Klaus Maeck |
Montaggio: | Andrew Bird |
Scenografia: | Tamo Kunz |
Costumi: | Katrin Aschendorf |
Effetti: | |
Interpreti: | Birol Ünel (Cahit), Sibel Kekilli (Sibel), Catrin Striebeck (Maren), Guven Kyrac (Seref), Meltem Cumbul (Selma), Hermann Lause (Dottor Schiller), Cem Akin (Yilmaz Guner), Demir Gokgol (Yunus Guner), Aysel Iscan (Birsen Guner), Stefan Gebelhoff (Nico) |
Produzione: | Ralph Schwingel, Stefan Schubert, Fatih Aki, Mehmet Kurtulus, Andreas Thiel per Wuste Filmproduktion, Ndr - Arte Corazon International |
Distribuzione: | Bim |
Origine: | Germania - Turchia |
Anno: | 2003 |
Durata:
| 123'
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Trama:
| Sibel, una ragazza di origini turche scampata a un tentativo di suicidio, per sfuggire alle severe abitudini musulmane della famiglia decide di chiedere aiuto a Cahit, anche lui turco, per farsi sposare. Anche Cahit ha provato a togliersi la vita e, dopo l'iniziale riluttanza, accetta di prendere Sibel in moglie, forse per realizzare nella sua vita qualcosa di utile. Nonostante il matrimonio fanno vite separate e spesso Sibel porta a casa altri uomini. A poco a poco il ragazzo si innamora della sua coinquilina e prova gelosia per gli uomini che lei frequenta. Anche Sibel inizia a provare dei sentimenti ma se ne rende conto troppo tardi. Cahit uccide uno dei suoi amanti e viene arrestato. Lei va a Istanbul e quando lui viene rilasciato la va a cercare perché spera ancora che potranno avere un avvenire insieme.
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Critica 1: | Che melodramma sia. La sposa turca, vincitore dell' Orso d'oro a Berlino, è la cronaca di un infelice matrimonio combinato in una clinica psichiatrica di Amburgo tra un'aspirante suicida e un derelitto alcolizzato, furibondo, drogato. Sono turchi e lei si illude di sistemare l'onore di una famiglia rigida e conservatrice, ma probabilità e imprevisti sentimentali rendono la vita a due un inferno completo di gelosia, perversioni, omicidio, prigione, redenzione, amore assoluto, fuga; e poi ancora la vita che ricomincia con amore, maternità, ritorno, dubbio. Ma il 31enne regista turco-tedesco Fatih Akin, con accesi colori fassbinderiani, evita la retorica del lieto fine, ha una capacità rara di coinvolgerti nel racconto e di dare a questa passionaccia una sua evidenza concreta e socioculturale, come in Tutti gli altri lo chiamano Alì. Andando al di là dei facili folklorismi del filone dei matrimoni etnici, greci o pakistani che siano, il film è ruvido e indigesto, una ballata post brechtiana di umiliati e offesi ma provvista di dolore autentico. È un rabbioso, straripante, furibondo kolossal delle passioni ossessive e delle pulsioni sadomasochiste, commentato, mediato da un coro di musici ironicamente immobili sul Bosforo. Sono fantastici gli attori Birol Unel e Sibel Kekilli che offrono alla storia neo realista turca, e al suo pathos d'autore, un'immedesimazione totale che sfiora il male di vivere coniugato in un presente storico difficilissimo per tutti. |
Autore critica: | Maurizio Porro |
Fonte critica | Corriere della Sera |
Data critica:
| 16/10/2004
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Critica 2: | Sopravvissuti al tentativo di suicidio, Sibel e Cahit s'incontrano all'ospedale psichiatrico. Sono entrambi di origine turca, ma tutto il resto li divide. Lei, 20 anni, ama troppo la vita per sopportare una tutela famigliare che la soffoca; lui, 40, è un uomo autodistruttivo abitato da una legione di demoni. Non vedendo altra possibilità per sfuggire ai suoi, Sibel propone a Cahit un matrimonio bianco: coabiteranno, ma ciascuno coltiverà liberamente le proprie relazioni sessuali. L'uomo esita; poi accetta, intravedendo nel patto una speranza per sopravvivere. Finché, inatteso e divorante, l'"amour fou" s'insinua nelle loro esistenze. Non è messaggero di salvezza, ma di rovina. Benché ci fossero altri bei film in concorso a Berlino, quest'anno, La sposa turca aveva un valore aggiunto: un soggetto pericolosamente attuale come lo scontro di culture, la gestione della diversità, il permanere degli integralismi religiosi. Però ridurre il valore del film alle sue, più o meno implicite, tematiche sarebbe far torto Fatih Akin, trentunenne turco nato e cresciuto ad Amburgo. Il regista ha saputo imprimere alla storia una tensione in crescendo; rappresentare una Istanbul affascinate e paurosa; tradurre i conflitti culturali in una tragedia a forte valenza simbolica. Ma, soprattutto, ha scelto due interpreti perfetti per la coppia di agnelli sacrificali: una esordiente di inattaccabile purezza davanti alle brutture del mondo e un attore che pare minato da un oscuro male interiore, come un'icona punk. |
Autore critica: | Roberto Nepoti |
Fonte critica: | la Repubblica |
Data critica:
| 15/10/2004
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Critica 3: | |
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Libro da cui e' stato tratto il film |
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