8 Mile - 8 Mile
Regia: | Curtis Hanson |
Vietato: | No |
Video: | Universal |
DVD: | Panorama |
Genere: | Drammatico |
Tipologia: | Disagio giovanile, La musica |
Eta' consigliata: | Scuole medie superiori |
Soggetto: | Tratto dalla biografia di Marshall Mathers III, in arte Eminem |
Sceneggiatura: | Scott Silver |
Fotografia: | Rodrigo Prieto |
Musiche: | Canzoni di Dr. Dre, Eminem, Jay-Z, Nas, Rakim, Kid Rock, Xzibit. |
Montaggio: | Craig Kitson, Jay Rabinowitz |
Scenografia: | Philip Messina |
Costumi: | Mark Bridges |
Effetti: | Grace & Wild Digital Studios |
Interpreti: | Eminem (Jimmy Smith Jr.), Kim Basinger (Stephanie Smith), Brittany Murphy (Alex), Mekhi Phifer (David Porter/Future), Eugene Byrd (Wink), Omar Benson Miller (Sol), Taryn Manning (Janeane), Xzibit, Brandon T. Jackson, Evan Jones, Anthony Mackie, Michael Shannon, De'angelo Wilson, Dj Iz. |
Produzione: | Imagine Entertainment |
Distribuzione: | Non reperibile in pellicola |
Origine: | Usa |
Anno: | 2002 |
Durata:
| 118’
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Trama:
| La scalata al successo di un giovane rapper bianco di Detroit, Eminem.
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Critica 1: | Eminem. un fenomeno musicale costruito dai discografici per contrastare lo strapotere afroamericano nell'hip hop, un prodotto artificiale per catturare con provocazioni forti il pubblico dei bianchi. Questo dicevano i conoscitori delle segrete cose della musica, al punto che quando si è diffusa la notizia che Eminem sarebbe approdato al cinema con un film ritagliato sulla sua biografia, ci si è sentiti autorizzati a sfoderare un certo scetticismo. Pregiudizi, piuttosto che conoscenza di retta. E infatti ecco la sorpresa: viene presentato 8 Mile, regia di Curtis Hanson (quindi un regista vero, non un confezionatore di prodotti per teenager) e sceneggiatura di Scott Siver, un film che non ricalca la biografia di Marshall Mathers III, in arte Eminem, ma delinea un racconto forte e avvincente. Si comincia nel cesso di un locale, dove il protagonista Jimmy Smith Jr. è impegnato a vomitare. Jimmy dovrebbe salire sul palco per un duello rap improvvisato. Invece è lì, devastato perché la ragazza lo ha mollato e la sua vita è uno schifo e ora gli toccherà anche tornare a casa di mamma perché non ha alternative. Ci va comunque sul palco. Ma rimane zitto, sbeffeggiato dal pubblico che già sogghignava all'idea del bianco intenzionato a sfidare i neri sul loro terreno. Non resta che tornare a casa, carichi di frustrazione. Casa di mamma Stephanie è un postaccio malmesso. Mamma non lavora, ha un'altra figlia piccola a carico e lo sfratto incombe. In compenso lei è impegnata in accoppiamenti da divano con un ragazzo che ha praticamente l'età di suo figlio. Si sono conosciuti al bingo e hanno deciso di vivere insieme. Anche lui è disoccupato, ma è in attesa del risarcimento assicurativo in seguito a un incidente. Tra Jimmy e il bellimbusto sono subito scintille. Mamma fa da paciere. Anzi regala a Jimmy la vecchia auto per andare al lavoro. Già, perché Jimmy è operaio alla New Detroit Stamping, un postaccio, ma pur sempre un posto. Peccato che l'auto di mamma sia un catorcio che non si riesce a mettere in moto. Tocca prendere l'autobus, quello che segue la linea delle otto miglia, 8 Mile road, la circonvallazione che divide il centro della città dai luoghi dove le esistenze sono state centrifugate dalla crisi economica. E le immagini che scorrono dal finestrino sono assolutamente eloquenti. Questo è il mondo di Jimmy e l'hip-hop per i giovani di Detroit, neri o bianchi, comunque disperati, rappresenta l'unica possibilità per una vita altra. 8 Mile è un mélo contemporaneo, dove la musica rap fa da contraltare. La storia, ambientata a metà degli anni '90 su scenari rigorosamente autentici, compreso un magnifico teatro trasformato in parcheggio per auto e i locali storici dell'hip-hop, è infatti quella classica, con la voglia di riscatto a fare da molla decisiva. Ma Hanson e con lui lo sceneggiatore Silver non hanno intenzione di vendere fumo, concedono al protagonista di esibirsi nelle kermesse rap improvvisate per cercare il successo, ma lo tengono sempre ben inchiodato al suo mondo e a quella fabbrica dove i soldi sono pochi e le gratificazioni ancora meno. Eminem, chiamato a muoversi in spazi che conosce, riesce a dare spessore e credibilità al personaggio come se fosse un interprete inveterato e non un esordiente. Kim Basinger, che Hanson aveva già portato all'Oscar per L.A. Confidential, è mamma Stephanie, la bionda che fa sbavare gli amici di Jimmy bianchi e neri senza distinzione, gente che suona autentica nel menare vita grama e nel cercare di svoltare. Più che gli scontri tra bande, qualche arma e inevitabili tradimenti, il tratto distintivo del film sembra essere il suo rimanere ancorato alla realtà. E alla fine del film ritroviamo Jimmy sempre al cesso del locale, anche se questa volta non vomita. Detroit non gli dedicherà monumenti , come era successo a Philadelphia per Rocky. Di lui rimane però un film monumentale. |
Autore critica: | Antonello Catacchio |
Fonte critica | Ciak |
Data critica:
| 28/2/2003
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Critica 2: | Almeno tre ragioni spiegano perché 8 Mile di Curtis Hanson sia bello, un vero film-evento che ha avuto negli Stati Uniti grandissimo successo e che ha rivelato Eminem come un ottimo interprete. Prima cosa, la musica: l'hip hop capace di far sentire vivi, di far provare emozioni, di sfogare rabbie, di servire come arma di confronto e di conflitto per i ragazzi della miseria e della degradazione, soprattutto neri ma eccezionalmente pure un bianco, e anche la bellissima canzone di Eminem, «Lose Yourself», perdi te stesso. Seconda cosa lui, il protagonista: Marshall Mathers, detto agli inizi M&M e più tardi Eminem, trent'anni, rapper famoso, ruvida bellezza popolana, bravo e duro, uno di quegli artisti trasgressivi e sovversivi, terribili o terribilisti, con i quali il mondo dello spettacolo americano ama civettare almeno sino a quando la loro malvagità rimane innocua. Il titolo 8 Mile allude alla via (anche un confine sociale) che divide il centro dalla periferia, i bianchi dai neri, i poveri dai meno poveri, a Detroit: città-simbolo di fallimento neocapitalista e di disfacimento urbano, dopo essere stata la metropoli dell'automobile. Il film somiglia a suo modo a Radiofreccia di Luciano Ligabue o a tanti film sul successo come forma di riscatto sociale: dalle epopee di Rocky-Stallone alla febbre ballerina del «Sabato sera» di Travolta, alla danza leggera come un volo di Billy Elliot di Dandry. Nel mix tra biografia e immaginazione, il protagonista Jimmy detto Rabbit, Coniglio, è senza padre; ha una madre promiscua, irresponsabile e attaccata al gin che è la cinquantenne Kim Basinger; vive con lei in un camper, nel peggiore dei modi, con le sue cose racchiuse in un sacco nero per la spazzatura; è stato lasciato dalla ragazza che ama; lavora in fabbrica e spera nella musica, anche se il timore della sconfitta e una insicurezza paralizzante lo ammutoliscono nelle gare di rap e lo portano a vomitare se deve presentarsi al pubblico. Naturalmente finisce col superare gli ostacoli: film del genere esistono soltanto in funzione del loro finale. Per ultima, ma non ultima ragione della riuscita e del fascino di «8 Mile», è il suo regista, Curtis Hanson di L. A. Confidential, che ha dato al film una forte patina realistica, romantica, struggente. La città di Detroit, nella sua decadenza di ex Motor Town, ha un'intensità di luogo da fuggire e insieme da non poter lasciare, una povertà dickensiana, un'autentica desolazione. Il protagonista ha momenti, dettagli, solitudini che spezzano il cuore; le luci soprattutto notturne (il giorno è squallore e fatica, ma la notte no) possiedono una intrinseca eloquenza; gli stereotipi sottoculturali del film di genere diventano emozionanti come versi belli. |
Autore critica: | Lietta Tornabuoni |
Fonte critica: | La Stampa |
Data critica:
| 15/3/2003
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Critica 3: | |
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Data critica:
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Libro da cui e' stato tratto il film |
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