Sposa in nero (La) - Mariée était en noir (La)
Regia: | François Truffaut |
Vietato: | 14 |
Video: | Elle U |
DVD: | |
Genere: | Drammatico |
Tipologia: | Storia del cinema |
Eta' consigliata: | Scuole medie superiori |
Soggetto: | Tratto dal romanzo "La sposa in nero" di Cornell Woolrich |
Sceneggiatura: | Jean Louis Richard, François Truffaut |
Fotografia: | Raoul Coutard |
Musiche: | Bernard Herrmann |
Montaggio: | Claudine Bouchée |
Scenografia: | Pierre Guffroy |
Costumi: | |
Effetti: | |
Interpreti: | Charles Denner (Fergus), Van Doude (Ispettore), Michael Lonsdale (Rene' Morane), Jeanne Moreau (Julie Kohler), Claude Rich (Bliss), Serge Rousseaux (David) |
Produzione: | Georges Charlot - Les Films du Carrosse - Les Productions Artistes Associes (Paris) - Dino De Laurentiis (Roma) |
Distribuzione: | Non reperibile in pellicola |
Origine: | Francia |
Anno: | 1967 |
Durata:
| 107'
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Trama:
| Subito dopo la celebrazione del matrimonio, mentre Julie sta uscendo dalla Chiesa al braccio del marito David, improvvisamente quest'ultimo viene ucciso da una fucilata sparata da una finestra antistante. L'incidente, involontario, deriva dalla scommessa di cinque amici che, tra una mano e l'altra di poker, volevano provare con un fucile a cannocchiale a colpire il parafulmine della chiesa dirimpetto. Da quel momento la vita di Julie è legata alla memoria del marito e al proposito di vendicarne la morte. Rintraccia dapprima Bliss, che sta festeggiando il suo fidanzamento, e lo fa precipitare da un terrazzo. Successivamente trova Robert e lo avvelena; è poi la volta di Renè, che la donna chiude in una piccola stanza nella quale muore soffocato. In tutti i casi la polizia non riesce a rintracciare il colpevole. Fergur, un pittore, è il quarto uomo, che Julie, riuscita a posare per lui come modella, uccide con una freccia. Infine poichè il quinto personaggio, Holmes, è in prigione, la donna confessa i suoi delitti alla polizia, si fa imprigionare e così riesce ad uccidere con una coltellata l'ultimo responsabile.
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Critica 1: | Un gesto idiota provoca la morte di uno sposo sui gradini di una chiesa all'uscita della cerimonia nuziale. Vedova prima ancora di essere stata sposa, rimasto impunito il delitto di cui furono corresponsabili cinque uomini, la donna (J. Moreau) trova un sollievo nel pensiero della vendetta. Li ricerca e, con pazienza monomaniaca, nel giro degli anni li uccide a uno a uno in una serie di delitti perfetti. Dal romanzo The Bride Wore Black (1948) di William Irish (Cornell Woolrich), sceneggiato con Jean-Louis Richard, F. Truffaut trascura il meccanismo dell'intrigo e costruisce il film sui modi della vendetta. Perciò dedica tutte le cure ai suoi personaggi. Ammirevole è il modo con cui trasforma Julie, donna di volontà e di testa, in un'efficiente macchina di morte che ogni volta muta le sue apparenze esteriori per adeguarsi a ciascuno dei suoi 5 bersagli. Sono il gaudente Bliss (C. Rich), il bancario Coral (M. Bouquet), il politico Morane (M. Lonsdale), il trafficante Holmes (D. Boulanger), il pittore Fergus (C. Denner) che è il privilegiato forse perché artista: con lui il rapporto diventa più personale. Il regista è stato all'altezza del suo modello, il vecchio Hitchcock, senza imitarlo. Si dice che amasse poco questo film, forse per l'inverosimiglianza di fondo del suo meccanismo, ma nel suo itinerario occupa un posto di prima fila almeno nel settore dell'efficacia e della cura dei particolari. |
Autore critica: | |
Fonte critica | Il Morandini – Dizionario dei film, Zanichelli |
Data critica:
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Critica 2: | (…) Subito dopo aver sperimentato a modo suo la fantascienza in Fahrenheit 451, Truffaut torna al noir, già affrontato in Tirate sul pianista, adattando per la prima volta un romanzo di William Irish, alias Cornell Woolrich, The Bride Wore Black (la seconda sarà nel 1969, per La mia droga si chiama Julie). La sposa in nero ha però poco a che vedere con gli altri film noir del regista. Ruota, piuttosto, attorno all'orbita di
Fahrenheit 451: come già per il libro di Bradbury, Truffaut trattiene del romanzo di Irish solo gli elementi strettamente funzionali al suo racconto e, con una consapevolezza molto maggiore, costruisce una analoga «fiaba per adulti» che sviluppa in chiave fantastica un aspetto comune a quasi tutti i personaggi truffautiani sin dai Quattrocento colpi. Dulie Kohler, infatti, fronteggia con la pistola quello che il piccolo Antoine Doinel e Montag, il pompiere incendiario di Fahrenheit, risolvevano con la «scappatoia», e tra tutte le donne d'azione del cinema di Truffaut è l'unica ad avere una dimensione unicamente mitologica, sottolineata anche dall'uso del colore. (…)
Truffaut, che ha letto La sposa in nero nell'immediato dopoguerra, sottraendolo a sua madre, e lo recupera casualmente grazie a Jeanne Moreau, si colloca nel gruppo con un'idea precisa dell'universo dello scrittore: « Se ci dedichiamo un momento al gioco della libera associazione, dopo il nome di Irish arriveranno le parole amnesia, cotone, notte bianca, fasciatura, sonnambulismo, anello matrimoniale, velo, dolore, rallentatore, ansietà, oblio. (...) L'amore occupa un ruolo importante nelle storie di Irish, un amore totale ed esclusivo, insostituibile quando viene spezzato. Eroe o eroina, il protagonista dei romanzi di William Irish è quasi sempre un individuo testardo, idealista e animato da un'idea fissa (...) non fa mai niente a metà, e nessun imprevisto può frenare il suo cammino verso l'amore e la morte ». Dalle libere associazioni scatenate da Irish al cinema secondo Truffaut il passo è breve e la sintonia è totale. Ma l'«idea fissa» che anima gli eroi dello scrittore sembra contagiare anche il regista, che del romanzo La sposa in nero conserva solo la protagonista ossessionata dal proposito vendicativo e la struttura criminale della storia, scandita dai cinque omicidi. Non c'è traccia dell'inchiesta poliziesca, degli escamotage con cui la protagonista sfugge di volta in volta all'arresto, degli altri elementi di verosimiglianza presenti nel libro e soprattutto della rivelazione a Julie, da parte dell'ispettore che la blocca prima dell'ultimo omicidio, che il marito ucciso non era poi tanto innocente e che il vero colpevole della sua morte è Corey: Truffaut risparmia la feroce disillusione alla sua eroina, e dal magma di Irish distilla una fiaba allo stato puro, dove il concetto di partenza viene continuamente ribadito dal principio dell'enumerazione, e dove la dimensione onirica permette di liberare qualsiasi impulso, in particolare i più aggressivi. Così si spiegano l'assassina ostinata e i cinque omicidi nel film di un regista che si dice «contro la violenza» e che sin dai Quattrocento colpi affermava l'impossibilità per i suoi personaggi di essere veramente violenti.
Rotti i ponti con la verosimiglianza, trasferita l'ennesima storia d'amore nel mondo degli incubi, Truffaut si addentra con determinazione nel regno dei simboli e delle figure, decidendo, ad esempio, di far indossare alla protagonista solo abiti bianchi o neri. Il suo nume tutelare questa volta non è solo Hitchcock, «che s'interessa più agli innocenti che ai colpevoli» e del quale Truffaut ha appena terminato di ripassare l'opera omnia per la pubblicazione del libro Il cinema secondo Hitchcock: anche se è evidente che La sposa in nero comincia come Marnie, che Bernard Herrmann (chiamato per la seconda volta da Truffaut, dopo Fahrenheit 451) è il compositore preferito di Hitchcock, che l'indifferenza nei confronti del verosimile e il gusto delle ellissi sono tipicamente hitchcockiani, che Truffaut può permettersi di rielaborare a modo suo la lezione sulla suspense, affermandola e svuotandola dall'interno come già nella Calda amante, là mediante la frustrazione dell'attesa, qui attraverso la dilatazione di quei tempi morti dell'azione che Hitchcock avrebbe soppresso. Ma se per la tecnica La sposa in nero è palesamente in debito col «maestro del brivido», per quanto riguarda lo spirito, come ammette lo stesso regista, è dominata dall'ombra di Jean Cocteau, l'autore della Bella e la bestia per il quale il cinema è « filmare la morte al lavoro ». Del resto, dice Truffaut, «in Irish c'è qualcosa di Cocteau, ed è questa mescolanza di violenza popolare americana, di odore di ospedale e di prosa poetica alla francese, che turba il lettore europeo».
La sposa in nero, con la sua iterazione macabra, è dunque il paradigma della morte al lavoro secondo Truffaut. Una morte assoluta ed estenuante, che come tale, nel cinema del regista, non può non affondare le sue radici nell'infanzia: «fiaba per adulti» a tutti gli effetti, La sposa in nero ha come protagonista un'adulta-bambina e i suoi sentimenti portati all'eccesso, in ubbidienza alla regola dell'iperbole che governa la narrativa infantile e in sintonia con l'universo dell'autore, dove i bambini sono costretti a diventare grandi prima del tempo e per questo non lo diventano mai del tutto. Julie vive nella dimensione assoluta dell'infanzia, in cui nessuna mediazione è possibile: a chi le ha tolto l'amore e la possibilità di crescere più o meno felice, come al cinema vorrebbe qualsiasi happy end da commedia, dispensa morte con l'enigmatica espressione di una sfinge, presentandosi vestita di bianco per la seduzione e di nero per il colpo fatale. Tutto in lei è calcolato alla perfezione, anche il fascino strategico, opportunamente calibrato sull'obiettivo maschile da colpire, cinque mattacchioni irresponsabili che Truffaut ricollega al quintetto del suo primo mediometraggio, Les Mistons.
Ma nonostante le apparenze e l'aura noir, Julie Kohler non ha nulla a che vedere con le dark ladies classiche, solitamente avide di denaro o di potere. O, meglio, di loro conserva solo le sembianze, come se fosse una spettatrice cinefila che dallo schermo ha imparato «come si fa». Rimasta vedova e vergine il giorno delle nozze, questa killer inarrestabile, che castiga leggerezze imperdonabili, sembra piuttosto la personificazione della vendetta che Antoine Doinel sogna dietro la lavagna a partire dalla prima scena dei Quattrocento colpi, dove viene punito dal maestro per « la pin-up caduta dal cielo »: Julie è ciò che lui - calato nella realtà - secondo Truffaut non potrà mai essere, è la proiezione immaginaria, potente e terribile, di tutti i piccoli Doinel feriti emotivamente a morte e desiderosi di feroce riscatto. (…) |
Autore critica: | Paola Malanga |
Fonte critica: | Tutto il cinema di Truffaut, Baldini & Castoldi |
Data critica:
| 1996
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Critica 3: | |
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Data critica:
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Libro da cui e' stato tratto il film |
Titolo libro: | Sposa in nero (La) |
Autore libro: | Woolrich Cornell |
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