Ultimi giorni (Gli) - Last Days (The)
Regia: | James Moll |
Vietato: | No |
Video: | Elle U |
DVD: | Elle U |
Genere: | Documentario |
Tipologia: | La memoria del XX secolo |
Eta' consigliata: | Scuole medie inferiori; Scuole medie superiori |
Soggetto: | Tratto da materiale raccolto nell'archivio della Survivors of the Shoah Visual History Foundation |
Sceneggiatura: | |
Fotografia: | Harris Done |
Musiche: | Nathan Wang, Hans Zimmer |
Montaggio: | Richard Kreitman, James Moll, Maja Vrvilo |
Scenografia: | |
Costumi: | |
Effetti: | Jerry Pooler, Industrial Light & Magic |
Interpreti: | Bill Basch, Martin Basch, Randolph Braham, Michael Cahana, Warren Dunn, Bernard Firestone, Renee Firestone, Dario Gabbai, Tom Lantos, Alice Lok Cahana, Katsugo Miho, Hans Munch, Paul Parks, Irene Zisblatt |
Produzione: | Ken Lipper/June Beallor Production - Shoah Foundation |
Distribuzione: | Mikado |
Origine: | Usa |
Anno: | 1998 |
Durata:
| 88’
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Trama:
| Argomento: lo sterminio degli ebrei ungheresi deciso da Hitler nel 1944. Svolgimento: immagini di repertorio che ricostruiscono l'Ungheria della prima metà del Novecento; testimonianze di uomini e donne che furono arrestati, portati nei lager e, sopravvissuti, andarono a vivere negli Stati Uniti. Queste persone tornano oggi in Ungheria a visitare di nuovo i luoghi di un tempo. Le testimonianze sono cinque: Tom Lanton, scappato da un campo di lavoro e ora deputato al Congresso; Alice Lok Cahana, uscita dal campo di Bergen-Belsen e ora artista; Renée Firestone ora insegnante e Irene Zisblatt pensionata, scampate ad Auschwitz; Bill Basch, reduce da Buchenwald, ora uomo d'affari.
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Critica 1: | Oscar al documentario. Se esiste una via per raccordare la memoria della Shoah all'esperienza fisica degli assenti, cioè tutti noi salvo i sopravvissuti, questa é nell'ascoltare e vedere il film prodotto da Spielberg (regia di James Moll): alcune testimonianze di sopravvissuti e alcune immagini dai campi di sterminio riescono a scuotere il tempo, tra i volti e le parole dei morti e l'ignara mezza serenità dei vivi di fine secolo. Si deposita nel sangue e contamina ogni certezza. Necessario. |
Autore critica: | Silvio Danese |
Fonte critica | Il Giorno |
Data critica:
| 30/10/1999
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Critica 2: | "Per noi, la liberazione non fu l'ultimo giorno", afferma un sopravvissuto a un campo di sterminio nazista. L'esperienza d'orrore indelebile e la necessità della memoria convivono. Gli ultimi giorni sono quelli della seconda guerra mondiale, quando Hitler soccombente decide di concentrare risorse e uomini nel progetto aberrante della "soluzione finale", anche a costo di perdere la guerra più rapidamente. Ma gli ultimi giorni sono anche quelli del Novecento, che ci impongono di ri-guardare alla follia del secolo anche e soprattutto attraverso gli occhi dei "salvati", ascoltando il racconto (e l'impossibilità di raccontare) dei testimoni diretti della Shoah. In questo senso le testimonianze di cinque ebrei ungheresi scelte per il documentario di James Molls, realizzato col sostegno della Shoah Fundation e fortemente voluto da Steven Spielberg (produttore esecutivo), non sono semplicemente l'ennesima affermazione (anche se i documenti audiovisivi, alcuni inediti, mostrano con crudezza e rigore verità sempre sconvolgenti), ma esprimono l'urgenza etica di elaborare il lutto salvando la memoria, riaffermare la vita senza mistificare né rimuovere la Storia. Tuttavia, il film di Molls non convince pienamente. Più che il "controcampo documentario della fiction di Spielberg e il suo correttivo redentore" ("Libération"), Gli ultimi giorni sembra una declinazione documentaria dell'ideologia narrativa spielberghiana della Storia (portato com'è a raccontare l'esperienza dell'umanità attraverso il vissuto del singolo), nonché il riflesso dei fantasmi che attraversano più o meno esplicitamente quasi tutto il suo cinema. Nel film una sopravvissuta scopre con un po' di sconcerto che quella che era una sinagoga prima della guerra è stata trasformata in una sala da concerti. Gli ultimi giorni non è esente da un rischio analogo: trasformare la sacralità della memoria e della verità in una forma sapientemente costruita di entertainment. Non basta infatti eliminare la presenza della voce narrante e affidare esclusivamente a quella dei testimoni il racconto per "far parlare i fatti". Al contrario l'elaborato montaggio a incastro delle testimonianze, gli inserti di filmati d'epoca sorprendentemente puntuali nell'illustrare la rievocazione degli accadimenti o nel sottolineare il valore simbolico delle parole, il calcolato equilibrio drammaturgico-emotivo della narrazione (sottolineato dall'uso della colonna sonora), se da un lato accrescono l'efficacia comunicativa e l'effetto catartico del film, fanno in parte vacillare il suo statuto di documento. Se i fini didascalici (vedi presenza di ascoltatori/spettatori bambini) giustificano il mezzo (la struttura narrativa forte e chiusa, che preferisce un finale consolatorio, piuttosto che lasciare aperte le domande), è bene tuttavia far tesoro di ciò che una testimone risponde a chi le chiede se davvero le cose sono andate come si vede nei film: "La realtà è stata molto peggio di quello che si vede al cinema". |
Autore critica: | Matteo Columbo |
Fonte critica: | Duel |
Data critica:
| 1/1/2000
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Critica 3: | Per misurare quali corde di sensibilità e di dolore tocchino certi temi, è interessante scoprire che anche Gli ultimi giorni, il documentario sull'Olocausto prodotto da Steven Spielberg, è stato oggetto in America e in Inghilterra, come è accaduto recentemente a ogni opera cinematografica o letteraria che tocchi questo problema, di un dibattito dai toni pacati ma non per questo meno insistente, e che alla commozione dei più si sono affiancate le riserve di molti insospettabili commentatori. Riassumere le loro argomentazioni - si tratta spesso di sopravvissuti all'Olocausto che mettono in campo la loro personale esperienza - rischia di banalizzarle. Diciamo che l'obiezione più forte mossa al film di Spielberg (inutile nascondersi dietro il nome del regista James Moll, Gli ultimi giorni è in tutto e per tutto il frutto della volontà del "moghul" della Dreamworks e della sua ambizione "storiografica", nata con "Schindler's list", continuata attraverso "Salvate il soldato Ryan" e consolidatasi con il lavoro della Fondazione per la Shoa) e che racconta sì cinque storie tragiche, cinque percorsi attraverso l'inferno dei campi nazisti, cinque storie di sradicamento e di orrore. Ma si tratta di cinque storie "a lieto fine": i protagonisti-testimoni sono lì a raccontare la loro esperienza, circondati dalle famiglie che si sono ricostruiti, cittadini di un grande paese come gli Stati Uniti che li ha accolti e, come nel caso di Tom Lantos, il bellissimo gentiluomo ungherese diventato membro del Congresso, in cui è l'unico sopravvissuto all'Olocausto, ne ha fatto l'esempio di un sogno americano di giustizia e tolleranza per tutti. Gli altri - dicono i critici del film - i "sommersi", quelli che si portano addosso le ferite profonde e incurabili di cui è morto Primo Levi, non avrebbero voce in questa pur così drammatica testimonianza, che è la prima ad avere la circolazione, e quindi l'impatto presso il grande pubblico, di un film realizzato sotto l'etichetta Spielberg. "L'immagine prevalente dell'ebreo in tempo di guerra è passata da quella di una vittima a quella di un eroe. Nessuna delle due è utile", sostiene per esempio Anne Karpf, una sopravvissuta ai campi che ha scritto un libro proprio su questo tema, The War After: Living with the Holocaust, e confessa qualche perplessità anche circa l'azione della Shoa Foundation, che per conto di Spielberg intende raccogliere ogni possibile testimonianza sull'Olocausto, con quella che lei chiama "una toccante fiducia nel potere persuasivo del video". L'interrogativo che investe il film è se non sia più giusta, per trasmettere il senso dell'Olocausto, la secchezza di Notte e nebbia, il film di Alain Resnais sui campi, o la testimonianza fiume di Shoa, il film di Claude Lanzman, anziché le storie di Gli ultimi giorni - con i "lieto fine", la bella fotografia e il commento musicale. Se i termini del dibattito sono delicati e coinvolgono il senso della memoria e della storia, Gli ultimi giorni è, in compenso, più semplice e diretto e, nella semplicità di un lavoro di montaggio e di interviste, molto toccante: non diverso in questo, se non per dimensione produttiva, da "Memoria", il film sugli ebrei del ghetto di Roma realizzato due anni fa da Ruggero Gabbai, che in quest'occasione bisognerebbe rivedere con attenzione, perché rappresenta un'altra tessera importante dell'immenso mosaico della Shoa - o, come scriveva qualche giorno fa Furio Colombo, la prima "stanza" di un museo contro l'amnesia. Gli ultimi giorni s'intitola così non solo perché parla degli ultimi giorni di così tante persone innocenti - gli uomini, le donne, i bambini della comunità ebraica ungherese trasportati nei campi nazisti e fatti atrocemente morire - ma anche perché (a prova ulteriore della sinistra follia di cui furono vittime) quelli erano anche gli ultimi giorni o quanto meno gli ultimi mesi della guerra, i nazisti, pur consapevoli che le cose stavano per loro volgendo al peggio, determinati nella loro folle ossessione, in sole otto settimane del 1944 lanciarono un genocidio su vasta scala contro gli ebrei ungheresi. Sullo sfondo di quei tragici mesi il film ci parla di Eichmann e dei Sonderkommandos, che organizzarono minuziosamente il loro piano di sterminio, così come del lavoro frenetico di Raoul Wallenberg, il diplomatico svedese che riuscì a salvare migliaia di persone creando una serie di rifugi e mandandoli in Svezia con falsi passaporti diplomatici. Ci sono i materiali inediti arrivati alla fondazione: con le terribili immagini a 16 millimetri, a colori, girate da un soldato delle forze americane di liberazione, che, proprio per la violenza evocativa del colore, non aveva finora avuto il coraggio di tirar fuori dalle scatole in cui erano conservate. Ma a lasciare il segno sono soprattutto le storie dei cinque testimoni scelti da Moll - da Alice Lok Cahana, un'importante artista le cui opere, tutte ispirate all'Olocausto, sono esposte nei più importanti musei ebraici del mondo, a Renée Firestone, che aveva 14 anni quando è stata deportata e che, sotto gli occhi della cinepresa, vediamo interrogare sulla tragica fine di sua sorella il medico di Auschwitz, il dottor Munch, che descrive con agghiacciante oggettività come si svolgevano "tecnicamente" quegli orrori - e le immagini del loro ritorno in patria, alla ricerca di un mondo scomparso, di memorie cancellate, di identità perdute. Forse hanno ragione i critici e i perplessi: nessuno sa se ricordare, far ricordare, costringere a ricordare, insegni l'umanità e la tolleranza. Ma "non" ricordare sarebbe certo una colpa ben più grave. |
Autore critica: | Irene Bignardi |
Fonte critica: | la Repubblica |
Data critica:
| 25/10/1999
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Libro da cui e' stato tratto il film |
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