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Tutti per uno - Hard day's Night (A)

Regia:Richard Lester
Vietato:No
Video:Video Buena Vista
DVD:
Genere:Musicale
Tipologia:La musica
Eta' consigliata:Scuole medie inferiori; Scuole medie superiori
Soggetto:Alan Owen
Sceneggiatura:Alan Owen
Fotografia:Gilbert Taylor
Musiche:George Martin, The Beatles
Montaggio:John Jympson
Scenografia:
Costumi:
Effetti:
Interpreti:Wilfrid Brambell, George Harrison, John Lennon, Paul McCartney, Ringo Starr
Produzione:Walter Shenson
Distribuzione:Buena Vista - Ventana
Origine:Gran Bretagna
Anno:1964
Durata:

86'

Trama:

Per sfuggire ai fans che li perseguitano, i Beatles disertano le prove di uno show televisivo e ne combinano di tuttii colori mentre Ringo vagabonda alla ricerca di un po' di libertà.

Critica 1: Finto documentario su una "dura giornata" dei Beatles che a Liverpool prendono un treno per Londra dove devono registrare uno spettacolo per la TV, portando con sé, oltre a due accompagnatori, il nonno di Paul (W. Brambell), vecchietto occhialuto, mettimale e sottaniere, ghiotta invenzione dello sceneggiatore Alan Owen che si guadagnò una candidatura all'Oscar. "The Citizen Kane of Jukebox movies" (Andrew Sarris). Comincia di corsa, e di corsa continua, almeno fino agli ultimi dieci minuti che sono trionfali, dunque statici. Contagioso per l'allegria, la gioia di vivere, il vitalismo, l'agilità, la disinvoltura con diverse sequenze memorabili e una spregiudicata contaminazione tra gli influssi della Nouvelle Vague francese e quelli del Free Cinema britannico. Un film giovane al passo dei fervidi anni '60.
Autore critica:
Fonte criticaIl Morandini – Dizionario dei film, Zanichelli
Data critica:



Critica 2:La scena della “musica per immagini” è ormai da tempo dominata e saturata dall'invasione dei video (promozionale, art, avant garde che sia); sembra che ogni discorso di stampo “classico” sul musical (o sui “film musicali”, come conviene dire per non incorrere in errori dettati da eccesso di nostalgia) non abbia più ragione d'essere.
La frantumazione, la dispersione che il mercato video ha introdotto nel campo musicale e cinematografico consente ben poco spazio per una riflessione, non essendosi naturalmente ancora strutturato un linguaggio proprio dei video musicale, non essendoci ancora un codice da decifrare.
Ma forse qualche elemento in più rispetto ai mesi passati lo si può estrapolare, soprattutto se si fa riferimento alla scena inglese e statunitense, e non a quella italiana, dove i video giungono ancor più frammentati, spesso mutilati, sempre e comunque con un minimo di distorsione. (…) Nel linguaggio dei promovideo si scontrano (si incontrano) due linguaggi enormemente differenti, quali quello della pubblicità e quello del cinema narrativo; e dove l'intelligenza trova spazio per imporsi, l'incontro diventa stimolante per tutti, producendo un impatto sullo spettatore ben maggiore che non la semplice proposizione di immagini ad effetto. Billy Joel, Fleetwood Mac, Joe Jackson, Men at Work producono veri e propri brevissimi “film di genere”, dove la musica e spesso anche i testi si integrano molto bene con le immagini. Il “target” è l'attenzione dell'ascoltatore - spettatore, il mezzo è la semplice arte dei cinema: la narrazione.
In una situazione di questo genere, che solo brevemente e per grandi linee abbiamo voluto accennare - riservandoci magari un più approfondito discorso per il prossimo futuro -, desta quantomeno curiosità la decisione di distribuire Tutti per uno (“A hard day's night”), uno dei due film che Richard Lester realizzò con i Beatles.
Non è mai troppo tardi per inventare un revival, siamo tutti d'accordo; ma certo è che il binomio Lester- Beatles è, cinematograficamente parlando, molto distante dalle più recenti tendenze del cinema musicale (…).
Lester (e Paul, John, George Ringo) affronta (…) iI tema del successo e del dominio (è questo più o meno il centro di molto cinema musicale, specie quello recente) in un tono scanzonato, autoironico, che fa anzi dell'ironia l'arma, il bisturi con cui sezionare il “fenomeno Beatles” e renderne ragione allo spettatore. La pretesa di “raccontare una storia”, che porta lontano ma spesso fa imboccare sentieri sbagliati, si riduce in Lester alla volontà di analisi, lucidissima e molto acuta, della giornata - tipo di una rockstar.
Il linguaggio filmico si adatta alla perfezione all'assunto, che è quello di spogliare i quattro grandissimi musicisti e personaggi della loro aura mitologica; la macchina da presa traballante e velocissima di Lester si tiene molto vicina ai personaggi, li segue con primi e primissimi piani, mentre tutti e quattro - aiutati dallo straordinario personaggio del “nonno di Paul”, “insert” finzionale perfettamente integrato nel tessuto generale: un delizioso tipo da “sophysticated comedy” classica fanno di tutto per negarsi allo sguardo ammirato compiacente, sognante delIo spettatore, giocando il ruolo della demenzialità fino in fondo.
Ma in fondo, se ci pensiamo bene, la strategia produttiva è quella di celebrare, glorificare, creare un altro motivo di riflessione mitologica sul fenomeno; e così tutti, Lester e Beatles, giocano scanzonati i loro ruoli, proponendo ad ogni nuova sequenza una diversa immagine di se stessi, che va ad inserirsi nel tessuto generale.
Viene in mente, in tempi recenti, l'operazione che Allan Arkush compì con i Ramones in Rock'n' Roll High School, ma in quel film divertente e travolgente si parlava una lingua tutto sommato diversa, se non altro per la diversa portata del suo oggetto (…). Le intenzioni sono però le stesse; dissezionare attraverso l'uso attentissimo della macchina - cinema il meccanismo della celebrità del divismo, alla base della civiltà (dell'industria) dello spettacolo.
Lester riprende tra l'altro molti degli stilemi della commedia classica, facendoli “slittare” sul versante del demenziale, del surreale, dell'assurdo.
Abbiamo già detto del carattere del “nonno di Paul”, vero e proprio “deus ex machina” della pellicola, personaggio essenziale per comprendere le intenzioni di regista ed interpreti; ma in realtà ognuno dei quattro Beatles assume e gioca il suo ruolo sino in fondo, portando all'esasperazione quelli che sono gli elementi precipui della sua personalità, e riallacciandosi così (attraverso questo paradosso, il mettere in mostra se stesso mascherato da stereotipo) al passato della comedy.
Paul è così il Bello, John il Folle, Ringo il Brutto, George il Timido; ognuno ha la sua fetta, l'attenzione che si merita, pur se sceneggiatura e plot (o quel che ne rimane) sembrano indugiare soprattutto sulle due “funzioni” incarnate da John e da Ringo.
In questo universo di sottilissimi riferimenti ad una tradizione che non è affatto disprezzata, ma anzi valorizzata dalla stessa delicatezza del tocco registico di Lester, il numero musicale, nucleo linguistico di ogni musical che si rispetti, assume un senso tutto speciale, apparendo come la necessaria, indispensabile pausa liberatoria che i quattro musicisti devono concedersi ogniqualvolta il dominio del quotidiano si fa troppo pressante ed angoscioso. Lester opera in questo modo un geniale rovesciamento di prospettiva; qui il riferimento al passato non è soltanto teneramente nostalgico, o ironicamente distaccato; è linguisticamente molto acuto. La più importante eredità teorica del musical classico (il numero musicale come liberazione) è ripresa, senza mai dimenticare, però, che il set non è più teatro di storie d'amore, ma soltanto di operazioni industriali.
Autore critica:Stefano Bortolussi
Fonte critica:Cineforum n. 223
Data critica:

4/1983

Critica 3:
Autore critica:
Fonte critica:
Data critica:



Libro da cui e' stato tratto il film
Titolo libro:
Autore libro:

A cura di: Redazione Internet
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