Another Time, Another Place - Another Time, Another Place
Regia: | Michael Radford |
Vietato: | No |
Video: | Biblioteca Rosta Nuova, visionabile solo in sede - Playtime |
DVD: | |
Genere: | Drammatico |
Tipologia: | La guerra |
Eta' consigliata: | Scuole medie superiori |
Soggetto: | Tratto da una novella di Jessie Kesson |
Sceneggiatura: | Michael Radford |
Fotografia: | Roger Deakins |
Musiche: | John MacLeod |
Montaggio: | Tom Priestley |
Scenografia: | Hayden Pearce |
Costumi: | |
Effetti: | |
Interpreti: | Phyllis Logan (Janie), Giovanni Mauriello (Luigi), Gianluca Favilla (Umberto), Claudio Rosini (Paolo), Paul Young (Dougal), Gregor Fisher (Beel), Tom Watson (Finlay), Jennifer Piercey (Kirsty), Denise Coffey (Meg), Yvonne Gilan (Jess) |
Produzione: | Umbrella Films - Rediffusion Films - Channel 4 - The Scottish Arts Council |
Distribuzione: | Non reperibile in pellicola |
Origine: | Gran Bretagna |
Anno: | 1983 |
Durata:
| 101'
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Trama:
| Nell'ultimo anno della seconda guerra mondiale, moltissimi prigionieri italiani sono, dal Governo inglese, adibiti in qualità di lavoratori agricoli presso fattorie e coltivatori diretti. Un gruppo di essi lavora in Scozia: si tratta di Luigi, un napoletano, di Paolo, un romano e del fiorentino Umberto. Con una piccola sovvenzione governativa, li ospita nella sua casa Janie, una giovane donna che vive con un rude marito la dura vita dei campi e della stalla. Gli stranieri sono in genere accettati dalla comunità locale: lavorano sodo, riescono a capire ed a farsi capire e sono di buon carattere. Ma il cuore di Janie è gradualmente toccato dalla dolcezza e dalla umana simpatia per quei ragazzi mediterranei, neri di capelli e con lei sempre gentili: soprattutto per Luigi, sospiroso della sua Napoli, desolato per la mancanza di posta e chiaramente innamorato della padrona di casa. Unica donna, Janie partecipa alla festa natalizia degli italiani, e ne esce turbata e commossa, anche per il piccolo dono offertole. La vita ed il lavoro in comune, il temperamento e le premure di Luigi fanno il resto: un giorno in cui egli, sempre senza notizie da casa e sconfortato perché quella dannata guerra non sembra aver fine, si scioglie in pianto, Janie lo accoglie tra le sue braccia e cede allo straniero (che poi a tanto mirava da tempo), più per pena o pietà, che per desiderio autentico. Qualche tempo dopo arriva il grande annuncio: è finita la guerra. Janie, certa ormai che anche Luigi rimpatrierà come gli altri, gli si concede una seconda ed ultima volta in un bosco non lontano da casa. Sfortuna vuole che una ragazza di facili costumi, sorpresa e violentata nello stesso bosco da un altro pirgioniero, peraltro rimasto sconosciuto, faccia uno strepito del diavolo e che la voce popolare accusi Luigi del misfatto. Così Janie vede Luigi andarsene con un agente di polizia, sotto l'accusa di aver avuto rapporti - lui prigioniero di guerra - con una donna inglese, con il cuore gonfio e vincendo pudore e timori, Janie si reca in città da un magistrato militare dichiarando, che, nel luogo e nell'ora ben noti, l'italiano era con lei. Vien preso atto della dichiarazione, ma inutilmente. Alla donna non resta che il pianto, il senso di colpa ed il carico di tanti ricordi.
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Critica 1: | Da un romanzo di Jessie Kesson: tra l'inverno del 1944 e la primavera del 1945, in una zona della Scozia, un gruppo di prigionieri italiani di guerra è adibito a lavori agricoli. Tra uno di loro e una contadina sposata nasce un tenero rapporto che si conclude tristemente. Uno dei migliori film prodotto da Channel Four, onorato con 7 premi internazionali. 2 i temi principali (l'incontro di due culture, i diversi modi della repressione sociale in una comunità agricola), esaltati da un taglio documentaristico che si manifesta nella funzionale fotografia di R. Deakins. |
Autore critica: | |
Fonte critica | Il Morandini – Dizionario dei film, Zanichelli |
Data critica:
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Critica 2: | (…) È una storia che Radford ha ricavato dai ricordi e dai racconti di Jessie Kesson, una donna del Nord della Scozia che dopo anni di duro lavoro nei campi ha saputo trasformarsi in un'apprezzata scrittice di romanzi e radiodrammi.
Ecco quindi che «l'altro tempo» diviene la seconda guerra mondiale, rivissuta in una dimensione privata, da fronte interno, che ricorda Yankees di Schlesinger ma anche tanti film inglesi dell'epoca d'oro di Ealing. E «l'altro luogo» sarà la Scozia, o forse, perché no?, l'Italia, se pensiamo alla storia personale di Radford che ha con il nostro paese un rapporto tanto stretto quanto (nella sua nascita) casuale: divenuto amico, durante una vacanza in Jugoslavia, di due ragazzi napoletani, si è recato più volte a Napoli dove ha realizzato alcuni dei suoi primi documentari per la BBC. Uno, in particolare, sulla Nuova Compagnia di Canto Popolare che non a caso compare in Another Time. Il film, in un certo senso, può essere letto come la storia esemplare di questo incontro fra Radford e l'Italia. (…)
Per Radford (…) è la piccola vicenda di tre prigionieri di guerra sbalestrati in un villaggio lontano e sconosciuto, i cui abitanti sono quanto di più diverso (o different, come dicono i tre italiani per farsi capire dagli scozzesi), per lingua, cultura e abitudini, dai tre poveri soldati provenienti dall'Italia del profondo Sud. La scoperta, quindi, è reciproca, e Radford è bravo nel giocare il film su un doppio registro: gli italiai visti dagli scozzesi, gli scozzesi visti dagli italiani. Anche dal punto di vista linguistico il film è in perfetto equilibrio, i dialoghi in italiano e quelli in inglese non prevaricano mai gli uni sugli altri. Anzi, Radford ha buon gioco nel partire dall'incomunicabilità linguistica per impostare tutto il racconto sulle immagini e sul montaggio, realizzando un film estremamente visuale, al contrario di 1984 dove l'ossessiva fedeltà al testo letterario lo portava spesso a un eccesso di verbosità. Se in 1984 Radford aveva a che fare con una neolingua (e non a caso la post - fazione del romanzo di Orwell sulle caratteristiche sintattiche della neolingua è forse la parte letterariamente più felice del romanzo, che nel film non ha potuto essere conservata), in Another Time egli lavora piuttosto su una protolingua fatta soprattutto di sguardi, o di poche parole storpiate (Luigi che infilza nelle sue tirate in napoletano rivolte a Janie qualche vocabolo inglese come «happy family», «much read» - relativo a Umberto, l'istruito del trio - o un'espressione vagamente «onomatopeica» come «jiggy-jiggy» quando chiede alla donna di fare l'amore con lui). La sequenza della prima festa da ballo, il Natale in cui i prigionieri italiani si lanciano in una scatenata tammuriata, la scena in cui Janie fa l'amore col marito mentre il suo sguardo vaga altrove sono tutte pressoché prive di dialogo, e anche se l'abbondanza di primi piani fa pensare un poco alle origini televisive di Radford, è comunque sicuro che il giovane regista si dimostra capace di portare avanti la narrazione basandosi esclusivamente su immagini mute, unite da un montaggio discreto, insieme semplice e sapiente. E, procedendo, la storia si restringe dallo sguardo corale del primo tempo allo sviluppo del rapporto tra Janie e Luigi, che solo nel finale (quando Luigi è accusato dello stupro della ragazza) viene armonicamente riallacciato al suo contesto. (…) Janie e Luigi si amano, probabilmente si giudicano (e sicuramente almeno Janie teme il giudizio di Luigi, nella sequenza in cui immagina con angoscia che lui racconti di loro ai suoi amici), ma sicuramente non si conoscono; il il loro amore resta appunto su un piano elementare, perché elementare (nel senso di bisogni primari, imprescindibili) è il contesto in cui esso si sviluppa: guerra, fame, sopravvivenza incerta e (per lui) lontananza da casa, istinto sessuale da tempo represso. (…)
Another Time è un film cupo, crepuscolare. Radford sfrutta i paesaggi scozzesi per creare un clima che è insieme elegiaco e plumbeo. Nella prima sequenza, Janie emerge come dal mare (la panoramica a sinistra la scopre partendo dalle onde), mentre il camion con i prigionieri sembra sbucare dalle brume. Autentici co - protagonisti del film sono le piogge, le messi, il fuoco, l'erica tanto cara ai racconti di Stevenson, e anche il sole e i prati verdi che fanno capolino nella primavera del '45. Ma l'elegia non ha il tono propositivo di Ford o di Dovzenko, modelli che pure Radford dimostra, qua e là, di conoscere. Nel finale, quando la scelta di Janie si è doppiamente consumata (il tradimento, e la sua rivelazione), la donna non può che recarsi dalla vecchia Jess e piangere sulla sua spalla. (…) |
Autore critica: | Alberto Crespi |
Fonte critica: | Cineforum n.250 |
Data critica:
| 12/1985
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Critica 3: | |
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Libro da cui e' stato tratto il film |
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